Oggi dalle colonne del Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia polemizza con la politica che ha dimenticato il Sud Italia. Lo fa a partire da un fatto di cronaca, ovvero dal dibattito generato dalle parole di due giovani cantanti neomelodici a un programma Rai, sulla criminalità organizzata, sulla magistratura, sui valori.

I due giovani simpatizzavano (usiamo un eufemismo) per la mafia e Galli della Loggia stigmatizza il fatto adducendo come spiegazione che “ormai il Sud è quello”, visto che è stato abbandonato dallo Stato. Ci sono due verità nel ragionamento di Galli della Loggia e una provocazione che io credo però del tutto infondata.

È vero che la politica ha abbandonato il Mezzogiorno e che in questo è stata aiutata dal mantra costruito ad arte anche da certa stampa (George Lakoff lo chiamerebbe “frame”), ovvero che al Sud si sperpera, che la colpa dell’arretratezza economica è dei meridionali, che la povertà è responsabilità della classe dirigente, che il Sud non è pronto alle magnifiche sorti progressive della globalizzazione perché legato al piccolo mondo antico, e così via.

Una serie infinita di luoghi comuni, vere e proprie fesserie, ripetute per anni, che hanno finito per legittimare le scelte politiche dei vari governi, riscopertisi improvvisamente “leghisti”, incapaci di sviluppare un discorso pubblico, politico e istituzionale sull’Italia unita. Un discorso sul Paese.

Come è ovvio, quindi, non sono per nulla d’accordo con l’argomentazione che il Sud sia quello dei cantanti neomelodici, perché così non è. Ci sono sacche di cultura (o subcultura), come è naturale che sia e come accade anche nelle gigantesche periferie delle grandi città italiane ed europee, a ogni latitudine. Ma è pure vero che di fronte a questi signori che inneggiano alle pistole e alle rivoltelle, e pure in totale assenza dello Stato, cresce da sempre un contropotere vero, concreto, nelle diverse esperienze sociali che si occupano di strappare i territori più in difficoltà a quello che sembra un destino ineluttabile.

Pensate al ruolo fondamentale degli insegnanti, in certe scuole di frontiera, in cui è già una vittoria fare in modo che i ragazzi stiano a scuola. Situazioni in cui la voglia di mollare tutto è forte, ma più forte è la vocazione per la professione. Ci sono esperienze così, ce ne sono tante in tanti comuni e vanno valorizzate.

Ma non voglio focalizzarmi sulla polemica con l’editoralista. Piuttosto mi interessa ribadire con forza ciò che da anni diciamo, spesso inascoltati, ovvero che il Sud è stato destinato ad una lenta morte programmata, dalle scelte scellerate della politica. Scelte che già in questi anni stanno mostrando effetti drammatici, come lo spopolamento di intere aree geografiche e la fuga di giovani studenti universitari, o addirittura di ricercatori, che dopo aver completato la formazione negli atenei del Mezzogiorno, sono costretti a perseguire i propri percorsi di vita fuori, per inseguire un qualche progetto di ricerca con borsa.

La demolizione del Sud si muove da anni lungo due assi: da un lato il costante taglio di risorse per i servizi, per le infrastrutture, per le opere pubbliche, per la sanità e per la formazione. Dall’altro, la mancanza di un disegno complessivo sulla vocazione e sul destino del Sud, che per altro, richiederebbe un’idea chiara sul destino dell’Italia, a meno che non si voglia tornare all’impero austroungarici… e visti i tempi e i dibattiti (anche su quell’obbrobrio chiamato autonomia differenziata) potrebbe anche essere.

In sostanza si scommette sul fallimento del Sud, determinandone il fallimento con le scelte. Sulla diseguale distribuzione delle risorse fra le diverse aree geografiche del Paese e fra i cittadini di diverse regioni, ho scritto più volte e ho denunciato i fatti anche all’interno del Parlamento. Una diseguale distribuzione che con i disegni di secessione dei ricchi che ha in testa Salvini, può solo peggiorare.

Ma ciò che più mi preoccupa è la mancanza di un’idea complessiva sul destino italiano, che nasconde in sé, credo, anche la ragione per cui non esistano praticamente più i cosiddetti “partiti nazionali”.

Scrive bene Galli della Loggia che bisognerebbe considerare la peculiare collocazione geografica e geopolitica del Sud (e dell’Italia), protesa nel Mare Mediterraneo e con la schiena rivolta ad est. Ma l’unica preoccupazione della politica rispetto al Mare Mediterraneo risiede nella guerra alle Ong che salvano le vite in mare. Nessun ragionamento, per esempio, viene fatto sui prossimi ingressi nell’area euro dei Paesi balcanici; nessun ragionamento viene proposto su quale debba essere la principale vocazione del Sud in un’epoca di economia globalizzata e con un pesante impulso alla deindustrializzazione di molte aree del Paese, che si riversa con più forza e maggiori drammi proprio sul Sud e sulla vita dei suoi cittadini.

Forse l’unica idea partorita è quella di fare del Sud il luogo in cui si possono “consumare” i soldi della propria pensione, viste le defiscalizzazioni proposte in manovra. Un po’ poco per un’area che perde decine di migliaia di giovani ogni anno. Eppure ci sarebbe da fare.

Proprio la centralità mediterranea del Sud dovrebbe indurre a ragionare su piattaforme logistiche per l’Europa, sulla necessità di investimenti infrastrutturali importanti, sulla costruzione di distretti produttivi a filiera, che valorizzino l’agroalimentare, evitando che il profitto finisca nelle mani della grande distribuzione organizzata.

E inoltre, un ragionamento serio sul futuro richiede un investimento importante sulla formazione, sulla cultura, sulla ricerca pubblica. Ci sono oasi produttive ad alta capacità tecnologica in questo Sud e penso in particolare al distretto della meccatronica in Puglia. Ma necessita di maggiore relazione e maggiore forza trainante da parte delle Università e della ricerca pubblica. E quindi necessita di maggiore risorse.

Queste sono solo alcune idee di un futuro possibile e possono essercene molte altre. Il punto è voler affrontare il tema e non avere pregiudizi ideologici sul Sud, come purtroppo qualcuno al governo dimostra di avere da molti, troppi anni.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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