Nelle sue mani finì il primo scudetto della Lazio, quella di Tommaso Maestrelli, ed erano mani sicure. Oggi il calcio italiano dice addio a Felice Pulici, ex portiere biancoceleste, n.1 di un’epoca molto piu’ lontana di quanto non dicano i 44 anni di età di quella esaltante avventura tricolore. Quando, un paio di stagioni dopo il titolo, Pulici parò anche l’impossibile in un derby romano, di lui si disse che ‘parava anche l’aria’. E lo faceva con serietà e una costanza perfino controcorrente in una squadra vincente e dannata: in cinque anni di maglia biancoceleste, dal ’72 al ’77, non saltò mai una partita tra i pali, 150 gare tonde di seguito.

Era il 28 novembre del 1976, “Magnifico” (definizione di Nils Liedholm, maestro anche di fair play), “Perfetto”, “Mostro”: così fu definito Pulici in quel derby del ’76, in un giorno in cui fece capire di essere un campione anche dal punto di vista umano.

A fine partita gli dissero che Tommaso Maestrelli, non solo un allenatore ma anche uno a cui voleva un bene dell’anima, fiaccato dal male che lo aveva aggredito non ce l’aveva fatta a vedere il derby dagli spalti, e lui scoppiò a piangere mentre cercava di dedicargli la vittoria. Maestrelli salutò per sempre appena quattro giorni dopo e quella fu l’ultima gioia calcistica che la sua Lazio e Pulici riuscirono a regalargli. Maestrelli, ma anche Luciano Re Cecconi, il patron Umberto Lenzini, Padre Lisandrini, Renato Ziaco, Mario Frustalupi, Giorgio Chinaglia (che quando divenne presidente, a metà anni ’80, volle Pulici come direttore generale), Mario Facco, e adesso il portiere che parava anche l’aria.

E’ lo sgretolarsi di una favola forse non replicabile nel calcio business di oggi, della squadra bohemien che da neopromossa sfiorò lo scudetto e che lo vinse l’anno dopo giocando ‘all’olandese’ e regalando emozioni tra storie di pallone, pistole, amori e night club. Pulici, brianzolo di Sovico classe ’45, aveva anche allenato la Lazio Primavera e nella Capitale era da anni anche un apprezzato opinionista televisivo e radiofonico, stimato anche da chi non era laziale per la misura nei giudizi e per l’educazione. Un signore che adesso lascia tutti un po’ più soli.

Fonte Ansa

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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