Con la morte di Desmond Tutu, il Sudafrica perde un altro simbolo della lotta alla segregazione razziale: il prelato, conosciuto in patria con il soprannome di ‘the Arch‘, insignito del premio Nobel per la pace nel 1984, primo arcivescovo anglicano nero di città del Capo, era malato da mesi. Il novantenne da tempo non rilasciava dichiarazioni in pubblico. “Il decesso dell’arcivescovo emerito Desmond Tutu è un altro capitolo di lutto nell’addio della nostra nazione a una generazione di sudafricani eccezionali che ci hanno lasciato in eredità un Sudafrica liberato“, ha dichiarato il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa. “Uomo di straordinario intelletto, integrità e invincibilità contro le forze dell’apartheid“, ha aggiunto Ramaphosa, “è stato anche tenero e vulnerabile nella compassione per chi aveva sofferto l’ingiustizia e la violenza sotto la segregazione e per gli oppressi e gli emarginati di tutto il mondo“.

Sono tante le immagini che ritraggono Tutu in compagnia dell’amico ed eroe del Sudafrica, Nelson Mandela. Insieme hanno combattuto instancabilmente contro l’apartheid: con la sua voce schietta usò il pulpito come primo vescovo nero di Johannesburg e in seguito nelle vesti di arcivescovo di Città del Capo, per galvanizzare l’opinione pubblica contro l’iniquità razziale sia in patria sia nel mondo. Sono state le iniziative politiche intraprese per abbattere le differenze tra bianchi e neri.

È stato presidente della commissione Truth and Reconciliation Commission che aveva il compito di indagare sulla violazione dei diritti umani e tra i suoi scritti ci sono Crying in the wilderness (1982) e Hope and suffering (1983), No future without forgiveness (1999) e God has a dream: a vision of hope for our time (2004). Traguardi che lo hanno portato al Nobel e al riconoscimento di simbolo del Sudafrica. A lui è attribuita anche la frase Rainbow Nation, nazione arcobaleno, coniata a favore di un Sudafrica post-apartheid.

A cura di Stefano Severini – Foto Getty Image

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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