2 Agosto 1980 Bologna non dimentica l’orrenda strage

Il genere umano produce il male come le api producono il miele. Quarant’anni fa l’attentato più grave della storia italiana. Obiettivo destabilizzare l’ordine democratico mediante la strategia della tensione. Così, anno dopo anno, a ogni triste ricorrenza mi torna alla mente quel maledetto 2 agosto 1980, un ricordo indelebile, inchiodato nella mia memoria.

All’epoca ero un giovane brigadiere di pubblica sicurezza, comandante del quarto plotone allievi del Centro Addestramento Polizia Stradale di Cesena. Ricordo che quel sabato mattina ero impegnato nelle attività di formazione del personale. Alla scuola tutto il personale istruttore e frequentatore il corso della polizia stradale attendeva con impazienza il termine delle varie attività didattiche prima di essere posto in libertà: ed io, come altri colleghi, avrei passato il fine settimana con la famiglia a Cesenatico, nel nostro mare.

All’improvviso, come una nuvola a ciel sereno, erano circa le undici, fu comunicata tramite altoparlante la cosiddetta e da tutti temuta “permanenza” in caserma. Avviso che annullava licenze, permessi, libera uscita e anticipava l’immediata partenza per un servizio di ordine pubblico sul territorio nazionale. In quegli anni le partenze erano molto frequenti, senza avere contezza di quando si sarebbe rientrati. Nell’occasione la destinazione per i circa 400 uomini presenti nella scuola fu Bologna.

Fummo il primo reparto inquadrato ad arrivare nel capoluogo emiliano, a parte ovviamente i presidi territoriali, già tutti impegnati in una febbrile quanto dolorosa opera di soccorso. Dal paradiso all’inferno.
In quella giornata d’inizio agosto il caldo e l’afa non davano tregua. La stazione ferroviaria di piazza Medaglie d’Oro, a quell’ora superaffollata di persone, era stata presa d’assalto da turisti che arrivavano e partivano, perché Bologna, la mia città natale, è il crocevia d’Italia: da qui si passa per andare verso il Sud o al Brennero.
Uno snodo ferroviario in totale confusione che smista famiglie intere, giovani e anziani, coppie di sposi e fidanzati, bambini in sandali con il sacchetto dei giochi, impazienti di raggiungere il mare o la montagna per godersi il meritato riposo, ma ignari che l’orologio del destino, in un attimo, avrebbe completamente stravolto le loro vite.

Come si seppe poi, nella sala d’attesa di seconda classe, intorno alle 10.25 scoppiò improvvisamente una bomba confezionata con 200 chili di esplosivo che provocò 85 morti e 200 feriti. Al nostro arrivo scene strazianti: non dimenticherò mai i corpi sotto le macerie orrendamente mutilati, che, anche in caso di salvezza, sarebbero restati per sempre sfregiati nell’anima.

Ho pianto, con il cuore straziato dal dolore, ma ho continuato, con tutta la professionalità derivata dalla mia funzione, a svolgere il duplice e delicato compito di ordine sicurezza e soccorso pubblico al comando dei miei uomini e al servizio della collettività. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, al suo arrivo nel primo pomeriggio sul luogo del disastro, riuscì solo a dire, con la voce strozzata: “Non ho parole“.

Quando ripenso a quei momenti, mi torna alla mente l’odore acre della polvere da sparo e del sangue, tanto sangue. Il caos generale nel quale tutti cercavano di portare il proprio aiuto a volte intralciava, senza volere, l’opera dei soccorsi.
Ricordo che non vi erano ambulanze a sufficienza per fare fronte all’emergenza, per cui gli autobus – in particolare quello della linea 37- sfrecciavano per le vie della città a tutta velocità diretti agli ospedali, con la speranza di salvare più vite possibili. Un lenzuolo bianco, che fuoriusciva dai finestrini, segnalava l’allarme, mentre trasportavano il loro carico di cadaveri e/o di corpi che ancora respiravano: straziati, dilaniati, carbonizzati.

Quanto vale una vita? Le persone che ricordo di avere soccorso fisicamente e anche psicologicamente, mi domandavano quale inferno si fosse spalancato sotto di loro e attendevano notizie riguardo ai propri cari. Allora i telefonini ancora non c’erano. Anche per questo le novità, sulle varie ipotesi della tragedia, così come le richieste di notizie da parte di famigliari, parenti, amici e conoscenti, circolavano molto lentamente.

Rimanemmo a Bologna una decina di giorni, con quelle poche cose che eravamo riusciti a preparare prima della partenza, ma all’epoca, purtroppo, eravamo abituati a questi disagi, non certamente a una tale terrificante tragedia.
Personalmente, in questi anni, ho partecipato alle commemorazioni rivivendo ogni volta le stesse emozioni e i ricordi di quel giorno infausto e sentendomi sempre più vicino alle vittime, ai loro famigliari e alla mia città, Bologna.
Una città che da allora non è stata più quella aperta, gioviale e gioiosa degli anni sessanta, ma che dopo la strage del 2 agosto è diventata più chiusa, più preoccupata.

Credo che non si sia più ripresa.

Domenica 2 agosto 2020.
Come ogni anno sarò presente a quelle che saranno le commemorazioni in onore delle vittime – limitate ovviamente dall’emergenza Covid – con la solita tristezza nel cuore e con la consapevolezza che non si può e non si deve dimenticare. Dopo quarant’anni dalla strage la verità e la giustizia sono ancora lontane. Dal 1980 hanno pesato le strumentalizzazioni politiche, depistaggi, dubbi, accuse in parte velate, polemiche sottolineate da autorevoli interventi.

Occorre continuare a sperare che finalmente possa emergere la verità “vera”, fugando tutti i dubbi che da otto lustri continuamente ricorrono, anche se questo non restituirà, purtroppo, le tante vite spezzate o irrimediabilmente segnate da questo tragico evento doloroso.

Il Vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Gianni Schicchi

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Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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