QUARTO GIORNO DI VOTAZIONI PER IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GLI INTERNI DELLA CAMERA URNA

30 gennaio 1945 – introdotto in Italia il suffragio universale, le donne italiane per la prima volta possono votare.

Circa 77 anni fa, precisamente il 30 gennaio 1945, avvenne in Italia un evento della massima importanza, il suffragio femminile: le donne italiane poterono per la prima volta votare.

Prima di arrivare all’estensione di voto in favore delle donne vi furono, nel tempo, numerose controversie e difficoltà.
Nel periodo trascorso tra il 1600 e il 1800 in Lombardia (che era sotto la dominazione austriaca), nel Granducato di Toscana e in Veneto le donne, soprattutto quelle benestanti, esprimevano la loro preferenza elettorale localmente e in alcuni casi potevano inoltre essere elette.
In occasione del Plebiscito del Veneto del 1866 anche le donne vollero esprimere il proprio sostegno all’Unità d’Italia, a tal proposito inviarono numerose lettere di protesta a re Vittorio Emanuele II, sottolineando il carattere patriottico della partecipazione e rivendicando il diritto di voto pari agli uomini.
Con l’avvento dell’Unità d’Italia i diritti di voto garantiti localmente vennero meno e si diede per scontata l’esclusione della vita politica alle donne, quando si parlava di cittadini dello Stato, l’appellativo era ovviamente riferito ai soli uomini.

Vi furono vari tentativi nella storia per dare la possibilità di ammettere le donne al voto amministrativo, come i disegni di legge Minghetti, Ricasoli e Peruzzi, ma il loro tentativo venne fermato nel 1865 dal discorso dell’Onorevole Boncompagni, il quale affermò che i costumi italiani non avrebbero consentito ad una donna di frammettersi nel comizio degli elettori per dare il suo voto, dichiarandola non eleggibile e ponendola allo stesso livello di analfabeti, falliti e condannati.
Stessa situazione accadde successivamente con i ministri Lanza e Nicotera e ancora nel 1877 con l’intervento di Benedetto Cairoli, il quale volle provare ad estendere il voto amministrativo alle donne, appoggiato da Marazio.

Nel contempo vi fu anche il contributo di Agostino Depretis, il quale formulò due nuovi progetti di riforma elettorale, con il primo nel 1880, voleva estendere il voto ai cittadini di entrambi i sessi in possesso di diritti civili e paganti le imposte, progetto controbattuto da Giuseppe Zanardelli, il quale fece leva sul potere maschile; con il secondo progetto datato 1882 Depretis voleva estendere il voto a tutti i maggiorenni alfabeti, questo progetto fu preso di mira da Francesco Crispi, facendo leva sul fatto che non era favorevole ad estendere il voto alle donne che reputava per tradizione, più legate ad una sfera familiare e privata.

Nel 1890 attraverso la legge n. 6972 del 17 luglio si conferì alle donne la possibilità di votare e di essere votate nei consigli di amministrazione delle istituzioni di beneficenza.

Inoltre attraverso le leggi n. 295 del 16 giugno 1893 si ammisero le donne al voto nei collegi per risolvere i conflitti di lavoro, nel 20 marzo 1910 si conferì la partecipazione elettorale alle donne nelle camere di commercio e nel 4 giugno del 1911 le donne poterono partecipare alle elezioni di organi dell’istruzione elementare e popolare.
Il 22 novembre del 1925 attraverso il fascismo entrò in vigore una legge che rese temporaneamente le donne italiane elettrici in ambito amministrativo, pochi mesi dopo però entrò in vigore la riforma podestarile dove si annullava ogni elettorato amministrativo precedente, sostituendo ai sindaci i podestà assieme ai consiglieri, non più eletti dal popolo bensì dal governo.

La battaglia per l’ottenimento del voto politico fu più lunga di quella dell’elettorato amministrativo ed ebbe inizio nell’Ottocento, attraverso personaggi noti quali Giuseppe Mazzini, il quale oltre ad esaltare il ruolo della madre educatrice riteneva che gli uomini non avessero nessun tipo di superiorità nei confronti delle donne.
La Repubblica Romana di ispirazione mazziniana prevedeva il suffragio universale maschile e femminile attivo e passivo anche se per consuetudine, gli eletti e i candidati furono uomini.

Insieme a Mazzini un’altra figura di rilievo fu Salvatore Morelli, soprannominato “il deputato delle donne”, il quale presentò il primo disegno di legge che prevedeva il voto politico anche in favore delle donne, ma non venne accolto poiché era ancora troppo presto per un passo così importante in Italia, il movimento emancipazionista e le donne che ne facevano parte non erano ancora favorevoli ad ottenere i diritti politici.

Dal lato femminile una grande sostenitrice del suffragio esteso anche alle donne fu Anna Maria Mozzoni, la quale scrisse l’opera “La donna e i rapporti sociali”, dove lei stessa incitava le donne a protestare contro le condizioni del tempo, invocando una riforma e che fossero loro concessi il diritto elettorale e la possibilità di essere elette.
Nonostante i suoi sforzi, le sue idee e le varie petizioni inviate al Parlamento per modificare lo status femminile, la Mozzoni non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi.
Vi furono altri tentativi nel corso dei primi anni del 1900 per cercare di permettere alle donne di votare, si ricordano infatti il disegno di legge del 1903 del repubblicano Mirabelli e la presa di posizione della socialista Kuliscioff assieme al marito Turati, i quali erano a favore della concessione del voto alle donne anche se secondo Turati i tempi non erano ancora maturi.

Con la riforma elettorale di Turati si ottenne il suffragio universale maschile dei cittadini maggiorenni, che fossero in grado di scrivere, che avessero preso il servizio militare e degli analfabeti al di sopra dei trent’anni; riguardo alle donne non venne menzionato nulla.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale tutti i movimenti a favore del suffragio vennero messi a tacere e le donne iniziarono a sostituire gli uomini, che erano partiti per il fronte, nei lavori che la tradizione aveva sempre riservato al genere maschile.

Il 9 marzo del 1919 sembrava quasi risolta la questione, poiché il Governo si sentì in debito di riconoscenza nei confronti del comportamento più che onorevole delle donne durante l’assenza degli uomini impegnati in guerra e decise cosi di promulgare un disegno di legge che prevedeva l’ammissione delle donne al voto sia amministrativo che politico. Sembrava quindi che le donne avessero raggiunto il loro obiettivo, purtroppo però questa legge non arrivò mai in Senato a causa della chiusura anticipata della legislatura e tutte le leggi in attesa di approvazione decaddero.

Anche Mussolini durante il periodo dei Fasci di combattimento sembrava volesse estendere il voto alle donne, iniziando dal campo amministrativo, si trasmutò però in nulla di fatto sia con la riforma podestarile del 1926, sia con quella elettorale del 1928.
Con l’avvento della seconda guerra mondiale le donne dovettero rimpiazzare nuovamente gli uomini, attivandosi anche in movimenti quali la Resistenza e in questo contesto, su iniziativa del Partito Comunista, nel 1943, vennero fondati a Milano i Gruppi di Difesa della Donna e per l’Assistenza ai Volontari della Libertà (organizzazione femminile per manifestare contro la guerra, dare assistenza alle famiglie in difficoltà e supportare i partigiani).
Nel 1944 i Gruppi di Difesa vennero riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia.

Sempre nel 1944 Alcide de Gasperi (Democrazia Cristiana) e Palmiro Togliatti (Partito Comunista) attraverso il decreto meglio conosciuto come Bonomi (nome del presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia), riuscirono a dare il voto alle donne, se capofamiglia nella Repubblica della Carnia.
Nello stesso anno sempre su iniziativa del Partito Comunista vennero fondate l’Unione Donne Italiane dove vennero inseriti i Gruppi di Difesa della Donna e il Centro Italiano Femminile di ispirazione cristiana.

Nel 1944 sorse il Comitato Pro Voto e altre iniziative per fare conquistare il voto alle donne con documenti presentati al governo Bonomi, con un opuscolo scritto da Anna Lombardo Radice intitolato “Le donne italiane hanno diritto al voto” e con una petizione consegnata al Governo di Liberazione Nazionale per far estendere il voto alle successive elezioni amministrative.

Finalmente il 30 gennaio 1945 previo accordi tra Togliatti, De Gasperi e Bonomi nella riunione del consiglio dei ministri venne discussa l’estensione del voto alle donne, il 1 febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo che conferì il diritto di voto alle italiane che avessero almeno avuto 21 anni; le uniche donne ad essere escluse, come citato nell’articolo 354, furono le prostitute schedate che lavoravano al di fuori delle case dove era concesso esercitare la professione.
Inoltre con il decreto n. 74 del 10 marzo 1946 le donne poterono considerarsi cittadine con pieni diritti, venne loro concesso il diritto di votare e di essere votate.

A cura di Barbara Comelato – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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