Tricolore al Campidoglio

160 anni e non dimostrarli.

Il 17 marzo è la “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione e della Bandiera”
160 anni sono passati dal 17 marzo 1861 giorno in cui è stato proclamato il Regno d’Italia. Si realizzavano i principi cardine del Risorgimento Italiano con l’indipendenza e l’Unità d’Italia, l’affermazione di una nazione.
Per neologismo la prima cosa che viene in mente è l’Inno Italiano, meglio conosciuto come “Inno di Mameli” o, come “Fratelli d’Italia”, ma che in realtà è” Il Canto degli Italiani”, scritto nel 1847 da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro, che divenne in pieno risorgimento un canto assai popolare.

Venne scelto solo il 12 ottobre 1946 come inno nazionale provvisorio in sostituzione della Marcia Reale brano ufficiale dei Savoia, ed confermato come inno nazionale de iure con una legge il 4 dicembre 2017, ma come ben si sa il popolo italiano è molto riflessivo e sotto certi aspetti le scelte devono essere molto ponderate.
Ed il nostro Tricolore? Le origini son ancor più lontane addirittura risalgono al 1797 alla Repubblica Cispadana. E dopo alterne vicende venne scelto nel 1861 a proclamazione del Regno d’Italia.

L’articolo 12 della Costituzione recita: La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. Al giorno d’oggi può far sorridere che addirittura un articolo della costituzione sia dedicato ad un vessillo.

Ma quel che avevano capito i nostri avi persone apparentemente semplici, senza internet, spesso senza titoli di studio altisonanti veri o fasulli, è che l’animo umano seppur contorto ed animato da svariati sentimenti, ha bisogno di simboli per sentirsi accomunato ad altri.

Il ragionamento è ancor più atavico: I simboli più che la lingua scritta hanno significati riconosciuti, e smuovono l’inconscio collettivo.

Vedere il Tricolore fa scattare Italia, ed il secondo step popolo Italiano. Così come sentire l’Inno: forse non i giovani ma per gli altri le parole affiorano alle labbra e la mano va al cuore.

Gesti meccanici?
Eppure quando guardiamo qualche evento sportivo internazionale a cui le nostre squadre partecipano, ci emoziona il momento degli inni, ancor più quando suonato in occasione della premiazione. Ci sentiamo un po’ tutti fieri anche se per noi ha partecipato chi è molto più bravo di noi, per fortuna.

Chi ha memoria ricorda che qualche anno fa ci si sdegnò per il fatto che i giocatori della squadra di calcio nazionale non conoscessero l’inno, ed inquadrati impietosamente dalle telecamere ci si accorse di chi faceva finta e di chi sbagliava le parole. Da allora i nostri portacolori urlano e cantano strappando anche qualche sorriso per le evidenti stonature.
Da un anno a questa parte il popolo italiano si sente leso nei suoi diritti: beh forse dire il popolo è troppo, ma possiamo leggere ovunque in maniera evidente l’insofferenza determinata dall’essere obbligati nelle nostre case, dal non poter circolare liberamente, dal non poter far ciò che più ci pare è piace nel rispetto anche di norme non scritte, del vivere comune civile.Un’insofferenza anche rivolta a chi esprime idee differenti dalle nostre, perché ognuno si sente depositario della verità assoluta.

Negli ultimi ultimi tempi l’incapacità di sopportazione è aumentata, soprattutto a seguito delle nuove chiusure, dettate dalla necessità in qualche modo di salvaguardare la salute di tutti ed evitare l’aumento dei contagi.
E quell’unità tanto ricercata e difesa con la morte dai nostri avi oggi scricchiola sotto il fronte dei pro e dei contro, impegnati a sparar bordate allo schieramento avversario, alle volte dettate da pochissima base scientifica, o anche solo di buon senso, ma alimentate dal PER SENTITO DIRE.

Non rappresentiamo un buon esempio per le generazioni future, perché cosa possono imparare le menti dei nostri ragazzi quando si rivolgono a noi, presi a non saper intrattenere uno scambio di opinioni se non urlando, presi dal uscire a far shopping sapendo che da lì a due giorni scatta la chiusura, senza pensare che magari così si sfrutta la possibilità di rimanere contagiati e quindi di fatto l’acquisto lo si porta effettivamente a casa?

Nel momento in cui è necessaria unità per il bene comune di tutti, per il bene di tutto un popolo composto da grandi e piccini, non solo ci si lamenta, ma spesso, sempre più spesso, non si rispetta.
Accade ciò che avviene quando si vieta qualcosa ai bimbi piccoli: il potere ammaliatore della cosa vietata come il frutto proibito, attira ancor di più.

E così noi che abbiamo ben 160 anni di unità sulle spalle ci comportiamo come se avessimo 3 anni.
Perché ci sia unità di un popolo, deve esistere il POPOLO UNITO.

A cura di Patrizia Ferro editorialista – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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