Sono trascorsi dodici anni da quel 12 gennaio 2010, una delle date più dolorose nella storia dell’umanità: un devastante terremoto di magnitudo 7.0 colpisce la città di Port-au-Prince, capitale dello Stato caraibico di Haiti. La scossa principale è stata registrata alle ore 16:53 locali, a 13 km di profondità. Al momento in cui si è verificato, è stato il terremoto con il più alto numero di morti, secondo solo al terremoto dello Shaanxi. Una tragedia immane, con oltre 220mila vittima e 300mila feriti, quasi 2 milioni di sfollati.

Danni incalcolabili, rasi al suolo il 60% degli edifici presenti sull’isola, tra le macerie anche il Palazzo nazionale di Haiti, residenza del Presidente della Repubblica, e la torre di controllo dell’aeroporto internazionale Toussaint Louverture. La comunità internazionale si mobilita immediatamente e in appena 24 ore arrivano sull’isola da ogni parte del mondo uomini della Protezione civile, Vigili del Fuoco, Croce Rossa ed Esercito.

Senza dimenticare le organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere, sempre in prima linea. Si scava a mani nude in una drammatica lotta contro il tempo, alla ricerca di superstiti. E al dramma del sisma sopraggiunge, nello stesso anno, un’epidemia di colera che provoca la perdita di altre 8mila persone e 700mila casi di malattia, una conseguenza delle precarie condizioni igieniche provocate dal sisma,

Negli anni la ricostruzione è proseguita molto lentamente. Haiti era ed è tutt’ora tra i paesi più poveri al mondo. Eppure sono arrivati oltre 6 miliardi di dollari dopo il terremoto, che di fatto non hanno risollevato le sorti di un popolo così martoriato. Nel 2018 sono scoppiate violentissime proteste legate ai problemi economici, politici e sociali aggravatisi di anno in anno. Migliaia di haitiani si sono riversati nelle strade e le hanno bloccate con delle barricate (chiamate “péyi lok”, letteralmente “paese chiuso”) con l’obiettivo di paralizzare il paese e costringere il Presidente ad andarsene.

Questa situazione ha portato anche alla chiusura di molte aziende ad alla perdita dei posti di lavoro con con gravi ripercussioni per l’economia, messa in ginocchio. Inoltre lo spropositato aumento del costo dei farmaci ha reso inaccessibile alla maggioranza della popolazione l’accesso a qualsiasi tipo di cura.

Dilaganti purtroppo anche gli episodi di violenza che hanno costretto “Medici senza Frontiere” ad aprire nel 2020 un ospedale traumatologico che accoglie in maggior parte casi di ferite da arma da fuoco. La stessa organizzazione umanitaria denuncia che “nel dipartimento meridionale le nostre équipe impiegano a volte anche più di 5 ore prima di trovare un ospedale in grado di ricoverare i pazienti più critici.

Nel nord, abbiamo dovuto sospendere le attività rivolte alle vittime di violenza sessuale e di genere a causa di problemi di accesso e per la mancanza di carburante nell’area”. Eloquenti anche le parole di Sandra Lamarque, capo missione di Medici senza Frontiere: “Il sostegno internazionale che il Paese ha ricevuto, o che è stato promesso in seguito al terremoto, è ormai in gran parte esaurito o non si è mai concretizzato.

L’attenzione dei media si è spostata altrove – continua Lamarque – mentre la vita quotidiana per la maggior parte degli haitiani diventa sempre più precaria a causa dell’inflazione galoppante, della mancanza di sviluppo economico e delle continue ondate di violenza”.

articolo a cura di Franco Buttaro – Foto Ticino

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Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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