Intervista a cura della giornalista Ilaria Solazzo.
Interagire telefonicamente con il Maestro Massimo Luca significa, per me, intraprendere un lungo ed intrigante viaggio, che attraversa mezzo secolo di musica; il tutto raccontato con semplicità, simpatia e onestà di particolari e questo non può che rendere la conversazione ancor più piacevole. Il panorama musicale, al di là delle naturali evoluzioni socio-culturali, ha subito nel tempo radicali trasformazioni di carattere strutturale. Quindi, è senz’altro interessante ascoltare i suoi racconti, per percorrere insieme a lui un lungo periodo di gran lustro per la musica italiana.
 
È un immenso onore, per me, quest’oggi, poterti intervistare. Il tuo nome è leggenda nell’ambito musicale.
Sei troppo buona. Diciamo che ho molta gavetta alle spalle e la mia carriera professionale l’ho costruita su basi solide.
La musica quando è entrata nella tua vita la prima volta?
Grazie ai giocattoli firmati Standa ed Upim che mia mamma mi comprò in regalo. Erano tempi migliori quelli legati alla mia infanzia, avevamo probabilmente quel senso di famiglia, di gratitudine, di calore umano che oggi si è un po’ perso.
Dovendoti tu brevemente descrivere quali parole useresti?
Sono un innamorato della musica a 360°, nasco a Santa Margherita Ligure, il 4 gennaio 1950, sotto il segno del Capricorno ascendente Sagittario. Di solito mi definiscono un chitarrista, compositore e produttore discografico italiano. Amo gli animali ed in special modo i gatti e come hobby prediligo le costruzioni ed il modellismo.
Credi nei segni zodiacali?
Sì. Hanno delle corrispondenze. Ad esserti sincero trovo molte caratteristiche del capricorno nella mia quotidianità. Prudenza, pazienza, riflessione e autocontrollo. Solo per citarne alcuni.
Sei stato insieme ad Andrea Sacchi, il chitarrista acustico più impiegato dai principali cantautori ed artisti italiani degli anni settanta e non solo! Basti ricordare alcuni nomi: Lucio Battisti, Fabrizio De André, Paolo Conte, Pierangelo Bertoli, Mina, Francesco Guccini, Loredana Bertè, Marcella Bella e Gianni Bella, Giangilberto Monti, Walter Foini, Gianfranco Manfredi, Riccardo Fogli, Mia Martini, Bruno Lauzi, Roberto Vecchioni, Edoardo Bennato, Angelo Branduardi, Fabio Concato. Ti andrebbe di raccontarci, in sintesi, il tuo rapporto umano e professionale con questi mostri della musica leggera italiana?
Ognuno di loro mi ha dato un’energia inestimabile. Ogni Artista che hai menzionato mi ha insegnato a lavorare con Amore. Tutti loro mi hanno forgiato per essere ciò che sono oggi. Francamente devo dirti che mi hanno arricchito culturalmente ed umanamente, ognuno con i loro pregi e difetti. Sono grato alla vita per l’amicizia speciale che mi lega ad ognuno di loro con cui ho condiviso momenti professionali indimenticabili.

Nel lontano 1972 esattamente il 23 aprile ti venne proposto di far parte del gruppo d’accompagnamento di Battisti durante il suo storico duetto con Mina a “Teatro 10”. Ti andrebbe di raccontarci un aneddoto relativo a quell’evento?
A quell’evento a Milano eravamo in cinque: Gianni Dall’Aglio (batterista), Gabriele Lorenzi (organista), Angelo Salvador (Bassista, purtroppo venuto a mancare), Eugenio Guarraja (chitarrista) e io con la mia chitarra acustica. Una sera, mentre ero a casa mia, all’improvviso squilla il telefono e mia mamma mi dice: “Vi è il signor Lucio al telefono”! E io replicai “Non conosco nessuno Lucio, avranno sbagliato”. E mia madre: “No, vieni al telefono perché cerca proprio te!”. Mi reco al telefono per rispondere e prendendo la cornetta esclamo: “Pronto?” e all’improvviso mi sento dire: “Sono Lucio Battisti” e a quel punto non sono più riuscito a dire neppure ciao… e lui: “Pronto, pronto?”… Mi disse che gli aveva dato il numero Gianni Dall’Aglio che già aveva suonato con lui. Battisti mi contattò in quanto era in cerca di un giovane chitarrista di talento e mi propose di andare a fare un provino nel suo studio. Dopo quell’incontro vi fu il silenzio per alcuni mesi e poi, sempre all’improvviso, mi arriva un’altra telefonata a casa e questa volta era Antonella, la segretaria del grande Lucio Battisti, che mi convocava in studio per la registrazione dell’album “Umanamente uomo: il sogno” (che sarebbe l’album dei giardini di marzo). Da lì ha inizio la mia carriera musicale. Subito dopo Battisti mi presentò a Mina e così nacque l’incontro alla trasmissione teatro 10, che mi arricchì di grandi emozioni.
Cosa rappresenta per te, ancora oggi, la musica?
È una filosofia di vita, una disciplina che mi accompagna da sempre, senza mai abbandonarmi. La musica è una forte passione che mi ha dato e mi dà forti emozioni.
Molti Artisti con cui hai lavorato erano molto credenti in Dio. Tu che rapporto hai con l’Onnipotente?
Sono ateo. Penso, ad ogni modo, che credere in Lui sia un bisogno che accomuni un pò tutti. Mi pongo, come tante persone varie domande, come ad esempio, Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andremo dopo la morte? Sono un uomo pronto a fare crescere la mia fede quotidianamente, ma con le mie riserve dettate dalla fragilità umana.
Nel 1974 formasti insieme a Umberto Tozzi e Damiano Dattoli, il gruppo dei Data. Quali sono i ricordi positivi e quelli negativi, se ve ne sono, di quel gruppo?
Annovero un ricordo positivo. Il disco fu prodotto dall’etichetta discografica di Lucio Battisti e per me era un onore essere prodotto dal Grande Battisti.
Con Tozzi siete ancora in amicizia?
No. Quando manca la verità si inquinano i rapporti e si lascia piantare, in ogni relazione, un seme delegittimante che non fa crescere la parte buona di un qualsiasi contesto, riducendo la fecondità positiva e ordinata di idee e propositi, punti fermi del decoro umano.
Caratterialmente Lucio era un tipo socievole?
Poco. Mi sentivo molto a disagio quando interagivo con lui. A differenza della Carrà che era empatica, socievole e molto affettuosa.
Nel 1982 hai lavorato con Raffaella Carrà… Raccontaci.
Parliamo di tempi d’oro dove i sogni divenivano realtà. In Spagna Raffaella era ed è amatissima. Ti dico solo che io ed altri colleghi soggiornavamo nei migliori hotel e giravamo in limousine con autisti di serie A.
Facendo un piccolo passo indietro nel tempo. Torniamo per un attimo agli anni ’70, in quel periodo storico hai avuto esperienze professionali anche con la Grande Mina, l’icona della musica italiana. Un particolare significativo di quell’esperienza?
Ricordo volentieri che Pino Presti, produttore ed arrangiatore del brano “L’importante è finire”, mi chiamò per suonare e mi presentò una “lavatrice con i tasti colorati”, che era la prima batteria elettronica. Quindi, lavorai solo, con la mia chitarra e questo nuovo strumento: una novità assoluta, se la rapportiamo a quarantacinque anni fa, un’esperienza singolare e gratificante.  Fui uno dei pionieri.
Qual è la tua opinione nei riguardi della musica e più in generale nei riguardi del modo di fare musica in televisione oggi?
Provo solo tanta amarezza nel constatare che dal 1997 è stata cancellata la memoria di un mestiere che ha dato molto alla società: quello dei cantautori. Noi musicisti, per renderci credibili abbiamo faticato molto, ma, oggi, tutto viene vanificato dal disastro annunciato dai troppi “talent show”, che contribuiscono attivamente alla fine della cultura. La televisione oggi è solo una fabbrica di plastica, costituita da persone che studiano come strutturare uno spettacolo televisivo unicamente per attirare il pubblico, senza considerare il talento, la creatività degli artisti. Solo la strada è in grado di costruire la carriera di un musicista, mentre la Tv non può creare una carriera, ma solo confermarla.
Che ricordo hai della televisione di una volta? Di quando tu eri bambino per intenderci.
Un bellissimo ricordo! Ho nostalgia della Rai di Alberto Manzi, che insegnava a tante persone a leggere e scrivere… in quegli anni in Italia il tasso di analfabetismo era, ahimè, ancora elevatissimo. Ricordo le serate dedicate alle commedie in teatro dialettale, grandi attori teatrali come Govi, De Filippo, Baseggio, come anche i venerdì sera dedicati alla musica sinfonica. Insomma, una Rai, allora seconda solo alla BBC, che dava cultura al popolo sotto forma di svago ed intrattenimento.
Negli anni ottanta sei stato il talent scout di diversi artisti, ti andrebbe di parlarmene?
Ho scoperto alcuni artisti, destinati poi al successo fra essi Biagio Antonacci, al quale davo suggerimenti e correggevo i brani e che nel 1987 ottenne il suo primo successo al Festival di Sanremo. Nel 1989 conobbi Francesca Alotta, la quale ha cantato mie canzoni, di impronta battistiana. Scrivere canzoni sullo stile di Battisti, mi fece venire un’idea, che però in quel momento misi nel cassetto. Solo quando conobbi Gianluca Grignani, del quale fui il produttore, con la sua bellissima canzone “Destinazione Paradiso” riuscii a concretizzare questa mia idea; infatti, trovai in lui un cantautore in grado di occupare la stessa poltrona di Battisti, senza però volerlo imitare.
Quando, a tuo avviso, ci fu la prima grande crisi del mercato discografico?
Francamente i primi segnali di crisi si avvertirono già agli inizi degli anni ’80, più precisamente nel 1983, quando il mio telefono cominciò a non squillare più. Ad oggi ricordo in modo nitido che insieme al mio amico cominciammo a pensare a come poter mettere a frutto il nostro talento. Creammo così buone melodie per la pubblicità. Fu così che iniziammo a realizzare jungle pubblicitari e vincemmo diversi premi e Grammy Awards per le pubblicità di famosi marchi, come Ferrero e Perfetti. Ricordo quei nove anni con grande rispetto e gioia. Il mondo della pubblicità mi rese consapevole circa le dimensioni reali della ricchezza, dei veri fatturati per capirci. Nel ‘92 la favola terminò… le agenzie cominciarono a chiedere preventivi a costo zero, così io e il mio socio capimmo che dovevamo cambiar aria.
Hai quindi conosciuto Ferrero?
Sì. Il Gigante in persona. Michele Ferrero. Uomo di grande carisma, semplicità e sensibilità. Ricordo che mi regalò una scatola con tutte le sorprese Kinder di quel periodo da donare a mia figlia che aveva 5 anni e che alla vista di quel regalo inaspettato sgranò gli occhi con gioia.
Della serie i grandi sono umili e i nessuno si sentono già arrivati, giusto?
Sì. Proprio così.
Oggi come oggi noto che i giovani che non hanno una carriera alle spalle hanno poca umiltà.
La tua carriera ti ha portato gioie o anche dolori?
Bella domanda. È stato come essere sempre sulle montagne russe. Compravo cose costose in alcuni mesi ma mi è capitato anche di dover vendere quanto precedentemente scelto perché la musica non paga tutti i mesi allo stesso modo. Ho portato grande malinconia nel mio Cuore tipica probabilmente degli artisti.
Eh già, gli artisti hanno anime differenti dagli altri…
Beh se penso a Paolo Villaggio con cui ho lavorato posso dirti che era un orso fuori dal set. Anche Totò è stato descritto come uno introverso. Hanno regalato divertimento agli altri ma il loro io era tristemente malinconico.
La tua vita si è intrecciata a quella di Villaggio per le colonne sonore di film cult, giusto?
Esattamente. A pensarci oggi ho fatto parte di tanti progetti importanti che hanno composto puzzle unici per la Storia italiana.
La mancanza di valori fondamentali compromette oggi la vita sociale?
Senza l’amore ogni altro valore perderebbe la sua originale configurazione e non potrebbe raggiungere i traguardi essenziali. Bisogna interrogarsi con serietà sullo sfaldamento dei valori fondamentali che oggi interessa un quadro sociale piuttosto compromesso. Le tensioni e le paure visibili e non che emergono nella società odierna lo impongono. C’è purtroppo da dire che in molti non avvertono alcunché. Altri non capiscono. C’è anche chi non ritiene una necessità inoltrarsi in analisi specifiche, per non parlare di coloro che assegnano ai valori una dimensione soggettiva, mirata, cambiabile. Una valutazione del tutto empirica, basata sull’importanza di ciò che prevale e attrae in un dato momento. È tempo di reagire e di rivedere il proprio rapporto con la vita, troppo legata a degli aspetti edonistici, consumistici e materialistici che hanno addormentato la profondità della mente umana e tranciato la sua meraviglia naturale.
Hai seguito il Festival di Sanremo?
No. Sono anni che non lo guardo. Non amo il declino. E poi Amadeus ogni anno sbaglia il mio nome. Mi chiamo semplicemente Massimo Luca. Amici mi hanno riportato questa gag che francamente mi ha un po’ stancato.
Cosa manca nelle nuove generazioni?
La gavetta. Gli hanno fatto credere che tutto è possibile senza studiare seriamente e senza sacrificio vero. Il successo bisogna conquistarlo sul campo e mantenerlo. Nessuno ti regala niente. Io devo dire grazie ai consigli di vecchi saggi che molti decenni fa mi dissero di affidarmi alla SIAE, se non li avessi seguiti mi sarei ritrovato nei guai.
Perché?
Perché la SIAE probabilmente mi permetterà oggi di risolvere un po’ di situazioni mie private. La vita non è un film a colori, tutti noi, chi più chi meno è chiamato a lottare. Io mi sento come una fenice che risorge sempre dalle ceneri più forte di prima. E’ universalmente conosciuta come simbolo di rinascita e cambiamento, della forza e della resistenza al tempo.
Cos’è per te la libertà?
La libertà, quale valore fondamentale dell’individuo, non va solo intesa come una prospettiva puramente individuale, deve andare oltre. Il suo vero significato prende infatti forma quando essa viene tutelata anche a livello sociale. Essa è falsata se non fa da collante sicuro tra tutti quei legami reciproci, rispettosi dei principi universali e dei diritti di ognuno, che uniscono le persone e rendono possibile la costruzione di una comunità virtuosa. Non può essere perciò manomesso il valore della giustizia, garante assoluto del buon andamento collettivo.
A cura di Ilaria Solazzo – Foto Repertorio
Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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