Scovare le notizie false. Il giornalismo, quello vero, ricerca la verità dei fatti e non costruisce delle notizie ad arte. I giornalisti dovrebbero essere consapevoli del loro importante ruolo sociale e non contribuire a distruggerlo, distruggere la loro credibilità per vendere qualche copia di giornale o per qualche click o mi piace in più. Nella giungla di internet si trova di tutto e sempre più spesso incappiamo in notizie palesemente inventate, ma che a molti di noi sembrano veritiere. Perché accade questo? Forse perché è quello che vorremmo leggere, è quello che vorremmo sentire e non sentiamo il bisogno di saperne di più. E proprio per questo motivo, per venire in soccorso di lettori poco attenti ma soprattutto di giornalisti distratti (e non poco), che un team di giornalisti ha preso in mano la situazione, scendendo in campo per aiutare entrambi i fronti. A capo di questo gruppo di giornalisti c’è Alberto Puliafito (classe 1978), torinese, giornalista e Direttore del portale Slow News. Ma che cos’è Slow News, facciamocelo dire direttamente da lui.

Nell’era del digitale, il giornalismo può essere ugualmente ‘slow’ e avere cosi una qualità migliore per quanto riguarda le notizie?
‘Ma certo. L’idea che il giornalismo dovesse mettersi a far concorrenza a Facebook e Twitter è un colossale equivoco. In un’epoca in cui velocità e quantità di produzione dei contenuti sono soverchianti il giornalismo deve per forza di cose rallentare e avere come missione quella di essere accurato.

Il vostro sito Slow News è nato con l’intento di sensibilizzare e diffondere un giornalismo più attento, una comunicazione più ricercata?
‘Non vogliamo solamente sensibilizzare. Vogliamo raccontare un modo diverso di fare giornalismo (lo faremo anche con un documentario che si intitolerà proprio Slow News, prodotto da iK Produzioni) e, soprattutto, vogliamo farlo.’

Quanti giornalisti compongono la redazione di Slow News?
‘Siamo quattro soci.’

Il vostro sito è visitato più da giornalisti o lettori?
‘Il sito non ha obiettivo di fare molte visite, perché i nostri contenuti, a parte quelli gratuiti che pubblichiamo di tanto in tanto, si rivolgono ad abbonati paganti.’

Siete soddisfatti dei risultati che avete raggiunto, fino a questo momento, con Slow News? Avete incontrato delle difficoltà nel fare capire, soprattutto agli addetti ai lavori, che c’è sempre da imparare e si può lavorare meglio?
‘Siamo appena agli inizi, Slow News è piccola e giovane. Abbiamo tempo per essere soddisfatti, spero! Per ora ti posso dire che abbiamo davvero tanta strada da fare.
Quanto alle difficoltà, sono tante naturalmente. Ci siamo mossi fuori da qualsiasi canale ‘ufficiale’, non abbiamo cercato grossi appoggi, cerchiamo di lavorare semplicemente creando un rapporto diretto con i nostri lettori. E soprattutto è uno dei tanti progetti che ciascuno di noi porta avanti, non potendo dedicarci ancora a Slow News in maniera integrale.
Le difficoltà di far capire che si può fare meglio, invece, sono legate alla volontà di singoli, realtà, istituzioni, di mettersi in gioco. È facile interagire con qualcuno che non ha paura di affrontare una realtà che cambia di giorno in giorno, lo è meno con chi difende rendite di posizione e con chi pensa che qualcosa va bene solo perché ‘si è sempre fatto così’.

Avete anche spinto con l’ordine dei giornalisti per fare un corso su questi argomenti vero? È stata una piccola vittoria questa?
‘In realtà non abbiamo ‘spinto’. Ci siamo limitati a parlare spesso di quel che facciamo – inclusa la traduzione in italiano del Verification Handbook, un manuale per la verifica degli user generated content che ha tradotto Andrea Coccia –, ovunque. Alla fine è arrivata una proposta dal Centro di Documentazione Giornalistica, con il quale nel frattempo avevo scritto un libro e con cui faccio formazione per i colleghi, e ho avuto la possibilità di preparare un webinar che è diventato uno di quelli ufficiali dell’Ordine, sulla piattaforma della Formazione Professionale Continua. Si intitola «Strumenti di verifica delle notizie e contrasto alle fake news».’

Esistono delle semplici regole per trattare al meglio una notizia e non incappare in cantonate imbarazzanti?
‘Basterebbe fare quello che si è sempre fatto quando si è fatto bene il giornalismo. Rispettare le buone pratiche, collaborare, verificare tutto, non farsi tradire da percorsi autoconfermativi, rinunciare ai toni enfatici, non farsi ingannare dalla buona comunicazione fatta sui social (penso ad esempio ai Tweet dei politici: sono comunicati stampa condensati, non fatti), studiare tantissimo le nuove piattaforme, la tecnologia (senza diventarne schiavi e senza confondere il mezzo con il fine), il mondo che ci circonda, rispettare la verità dei fatti così come riusciamo a verificarla in maniera indipendente, rispettare il nostro mestiere e, soprattutto, rispettare chi ci legge. Perché senza i lettori e senza la loro fiducia, il giornalismo non serve a niente. Ecco perché fra le buone pratiche c’è anche: scusiamoci quando sbagliamo. Perché anche se applichiamo tutto al meglio, capiterà sempre di sbagliare.’

Esistono regole anche per essere buoni fruitori di notizie e non farsi fregare?
‘Sì. Il lettore può diventare un lettore consapevole. Basterebbe per esempio non fermarsi al titolo, non credere a tutto quel che si legge, dubitare delle cose troppo curiose, troppo incredibili, scegliere bene le proprie fonti e non lasciarsi travolgere dal flusso dell’informazione. Ma se i giornalisti non sono responsabili per primi, come facciamo a pretendere che lo siano i lettori? Sono i professionisti dell’informazione a dover dare per primi il buon esempio. Se pubblichiamo sui giornali le non-notizie come il mostro marino dell’Indonesia o gli oggetti trovati al concerto di Vasco, stiamo facendo un danno davvero difficile da recuperare. Un danno giornalismo e soprattutto alla società.’

A cura di Nicola Luccarelli

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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