“Andare a votare il 17 aprile per questo referendum rappresenta un dovere civico”.
Questo il pensiero di Alessandro Giannì, direttore responsabile delle campagne Green Peace.
L’associazione ambientalista ritiene illegittimo il secondo comma della legge, aggiunto dal governo corrente, sull’originale indetto da 9 regioni. Infatti il testo normativo originale, sarebbe quello senza il comma da abolire, aggiunto poi in Senato, al momento di visionare la disposizione in materia.
Votando sì, le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, al termine della scadenza naturale.
Ma dare il consenso positivo, afferma Giannì, significa anche bocciare le politiche energetiche del governo, che vuole infangare il referendum per proteggere gli interessi di pochi.
La paura è quella di togliere posti di lavoro e di arretrare l’Italia, riducendola unicamente come compratrice dell’energia altrui.
“ Questo si potrebbe evitare investendo sulle rinnovabili, ma lo Stato sta facendo ostruzionismo. Dal 2008 al 2014 sono stati tagliati 120.000 posti di lavoro nelle energie alternative, e adesso c’è preoccupazione per 40 lavoratori?”
L’opinione di Green Peace è dunque quella di investire sul futuro, cosa possibile entro 15 anni se il governo facesse politiche adeguate.
L’obbiettivo è quello di un’interdipendenza energetica tra l’Italia e gli altri paesi, per permettere uno sviluppo equo, basato sulle rinnovabili. Così facendo i mari alla lunga diverrebbero più puliti e la salute dell’ecosistema marino, e di riflesso anche dell’uomo, sarebbero più tutelate.
Dello stesso parere è l’ex assessore allo sviluppo economico del Comune di Cesena, nonché presidente dell’Eco Istituto Cesenate, Leonardo Belli.
Belli afferma che l’Italia snobba l’energia alternativa e che sull’argomento regna molta disinformazione, anche perché le politiche del governo in materia non sono molto chiare.
Omid Fazeli, ingegnere programmatore di software e marchingegni informatici presso un’azienda ravennate, sostiene la necessità di investire sulle rinnovabili, ma senza trascurare le fonti energetiche già presenti, anche perché si rischierebbe di lasciare per strada diversi lavoratori.
Inoltre, sostiene Fazeli, “un impatto ambientale, pur minimo, è inevitabile che ci sia; in Italia i danni sono ingenti semplicemente perché molti petrolieri non rispettano le regole, ma seguono solo i loro interessi”.
L’argomento fa discutere ed è chiaro che ognuno tira l’acqua al suo mulino. Concretamente, abolire il comma della normativa produce sia vantaggi che rischi.
Di positivo c’è che si ridurrebbe di molto l’inquinamento acquifero e la possibilità di far mangiare all’uomo pesce avariato.
Inoltre si potrebbe guardare al futuro ed investire su fonti alternative. Ma quanto ci vorrà perché questo avvenga? Nel frattempo l’Italia dipenderà da altri paesi, pagando tariffe altissime l’energia?
Queste alcune perplessità, insieme al destino dei lavoratori che se dovesse passare la norma, rischierebbero il posto.
La discussione è e resterà aperta, fino al 17, fino a quando non uscirà l’esito di un referendum che deve raggiungere un quorum del 50 per cento più uno dell’elettorato per avere effetto.

A cura di Giacomo Biondi

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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