Questa esistenza, respiro di un Mondo impazzito, riversa dagli ascolti dei notiziari, oltre che sul vissuto quotidiano, lacrime continue da ogni parte del Globo che condizionano le anime in cerca di tranquillità.

Direttamente o indirettamente, pur nell’abitudine oramai conclamata, a situazioni ironiche tendenti al ‘ripristino’ emotivo di stati d’animo messi a dura prova, viene da dire: “C’è poco da ridere”. Ma non c’è bisogno di ridere; per compensare il danno mondiale, ahinoi diffuso oramai a livello religioso e politico, di conseguenza sociale, sarebbe fondamentale riuscire a rispondere con un sorriso di “accettazione”. Però…

Tutti possono imparare a ridere (basterebbe frequentare una scuola di recitazione) ma il sorriso nasce dal cuore e non si può apprenderlo. Sgorga spontaneo e può nascere da una serena accettazione come da un nostalgico ricordo, da una provocazione come da una tenerezza, da una curiosità, da semplice umorismo. Il sorriso non è altro che equilibrio, accettazione, equidistanza dagli estremi, pur oscillanti, di vita. L’ironia, le allusioni, le metafore, ne stimolano il nascere spontaneo. E un sorriso può trovare respiro anche in una lacrima.

Mentre mio padre, in coma irreversibile, in una camera d’ospedale, si apprestava a lasciare questo mondo, io gli tenevo la mano – in quella tenerezza, mai usata prima, il contatto di un affetto che compensava quanto non eravamo riusciti a trasmetterci in tanti anni – e gli parlavo. Avevamo sempre scherzato tra di noi e così pensavo gradisse, in quegli ultimi momenti, avere accanto il suo ‘burlone’. ‘Ba’ non era mai stato certo da meno. Ad un certo punto chiesi ai suoi occhi chiusi: “Ba, sono qui, mi senti vero?”… Il mio cuore fu accarezzato da una penetrante gioia quando la sua mano strinse forte la mia.

In vita sua non era mai andato ad un funerale, e tante volte avevamo animatamente discusso: “ … è un tuo caro amico”, “… è un tuo parente stretto: vergognati!”, “… almeno una volta nella tua vita, fai quell’atto di presenza! Che tu lo avverta sentito o dovuto, fallo!”.

Quel 5 Maggio, mentre in doppia fila lo accompagnavamo a quella terra rimossa che lo avrebbe accolto, per la decomposizione, rivolto ai legni sagomati di quella sua ultima dimora, gli dissi: “Te lo dicevo che prima o poi avresti partecipato a un funerale”. Sentii giungermi il suo sorriso.

Sarebbe bello, senza attendere l’aldilà, che durante le nostre giornate sentissimo giungere sorrisi da ogni sguardo incrociato lungo una qualunque strada di percorso: sarebbe una condivisione alla speranza che potrebbe dilagare negli animi sofferenti di quanti creano sofferenze perché senza identità, per non avere mai avuto un ascolto, una carezza, un abbraccio… per non essersi mai sentiti esistere.

Il sorriso avvicina, unisce un po’ alla volta, rende consapevoli di non essere soli, fa capire la necessità della condivisione. Essere ironici nei confronti della vita, non è fregarsene, esserne distaccati, anzi, tutt’altro. E allora proviamoci, tutti: ognuno cominci da se stesso, senza aspettare gli altri. Non è il sorriso che si allontana da noi, siamo noi che ci siamo allontanati da lui.

A cura di Vittorio Benini

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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