Ci sono discipline, nella storia dello sport italiano, oggi quasi dimenticate, relegate in minuscoli trafiletti sui giornali cartacei e per lo più inesistenti sul web; una di queste è il bob, un tempo vera e propria miniera d’oro, ma che con il tempo, la mancanza di investimenti ed addirittura senza una sola pista per allenarsi, ha finito per uscire dal nostro interesse.

Vera e propria icona di questa disciplina è stato indubbiamente Eugenio Monti (Dobbiaco, 23 gennaio 1928 – Belluno, 1 dicembre 2003), un nome che i nostalgici con i capelli bianchi ricorderanno certamente, ma che difficilmente evoca conoscenza nei più giovani.

Monti in realtà ha iniziato a praticare lo sci fin da ragazzo, essendosi trasferito con la famiglia a Cortina D’Ampezzo; le sue doti di coraggio e velocità lo avevano fatto notare prestissimo, anche da un certo Gianni Brera, che gli aveva coniato il soprannome di “rosso volante”, per il colore della chioma e la grinta.

Dopo la trafila nelle varie categorie giovanili, nel 1949 Monti era passato alle gare nazionali, vincendo il titolo italiano di slalom gigante nel 1949, successo doppiato l’anno dopo, quando aveva trionfato anche nello speciale; si era inoltre messo in evidenza anche in discesa libera, dove in una gara internazionale in cui si era aggiudicato il secondo posto, aveva battuto il grande Zeno Colò.

Come però a volte accade, la sfortuna era dietro l’angolo: nel gennaio 1951 Monti cade in allenamento al Sestriere, rompendosi i legamenti di un ginocchio, e l’anno successivo subisce, a Cervinia, un nuovo grave infortunio che pone fine ad una promettente carriera.

Monti però non vuole arrendersi, è un agonista e una volta ripresosi, decide di dedicarsi al bob e nel 1954 vince il suo primo Campionato Italiano nel bob a quattro (in totale saranno dieci le sue vittorie, sei nel bob a due e quattro nel bob a quattro), iniziando un percorso fantastico che durerà sino al 1968, e lo vedrà per due volte medaglia d’oro olimpica, quando, dopo varie sfortunate edizioni trionferà in entrambe le gare a Grenoble, proprio nel 1968.

Quello della vittoria olimpica pareva essere un tabù per Eugenio Monti, due volte argento nel 1956 a Cortina, e due volte terzo nel 1964 ad Innsbruck, mentre non si era gareggiato nel 1960 a Squaw Valley (unica Olimpiade invernale senza le gare di bob); a Innsbruck, Monti (che era il portabandiera azzurro) conquistò però, insieme al bronzo, anche la medaglia De Coubertin, primo atleta nella storia, per essersi distinto con un grandissimo gesto di sportività.

La coppia inglese formata da Nash e Dixon, tra le favorite, non avrebbe potuto gareggiare a seguito della rottura di un bullone del proprio mezzo, bullone che Monti prestò ai britannici che conquistarono l’oro davanti agli azzurri Zardini e Bonagura e, appunto, a Monti e Siorpaes, naturalmente al rientro in Italia non mancarono le critiche, dato che per l’Italia avrebbe potuto essere un trionfo senza il suo gesto di sportività, ma monti mise immediatamente fine alle chiacchiere, asserendo che il duo britannico non aveva vinto grazie al “suo” bullone, ma semplicemente perché era andato più forte.

Le Olimpiadi di Grenoble del 1968 erano l’ultima occasione per Monti di vincere il tanto sospirato oro ed il “rosso volante” non tradì, vincendo in coppia con De Paolis la gara a coppie, mentre nel quattro, insieme allo stesso De Paolis gareggiarono Armano e Zandonella.

Finalmente, a quarant’anni, Monti poteva concludere trionfalmente la carriera, nel corso della quale aveva portato a casa la bellezza di nove titoli mondiali (più un argento), sette nel due e due nel quattro.

La vita dopo lo sport non riservò però a Monti le stesse vittorie, le medesime soddisfazioni; tante furono le traversie che segnarono il suo cammino, dalla separazione dalla moglie, alla morte per overdose del figlio, la decisione della figlia di andare a vivere negli Stati Uniti, oltre al morbo di Parkinson che lo colpì negli ultimi anni di vita, quella vita cui Monti stesso mise tragicamente fine, sparandosi un colpo di pistola alla testa e morendo il giorno seguente, all’ospedale di Belluno.

Il Direttore Maurizio Vigliani – Foto Atlheta

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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