Dopo un anno “non abbiamo ancora un tetto sopra la testa”.
“Quanto ci vuole per ricostruire una casa? Per quanto tempo ancora dovremo aspettare?”.
La domanda di Om Bahadur Ghale è la stessa di migliaia di suoi vicini: tutti nella zona di Barpak, epicentro del sisma che il 25 aprile 2015 ha sconvolto il Nepal.

Il terremoto di magnitudo 7,9 ha rappresentato il peggior disastro naturale del Paese dal 1934. I morti furono circa 9mila, oltre 22.300 i feriti, la maggior parte dei quali concentrati a nord della capitale Kathmandu.

Il 12 maggio dello stesso anno un’altra potente scossa di magnitudo 7.3 ha causato 136 morti, gran parte dei quali nel distretto di Dolakha, vicino a Sindhupalchok, tra le località più colpite dal sisma del mese prima.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, le vite di un terzo della popolazione del paese sono state sconvolte dal terremoto. Nel complesso, 4.2 milioni di persone sono state seriamente colpite; tra queste, 1.7 milioni di bambini. Il terremoto ha distrutto case, scuole, templi indu’, carceri.

Si calcola che almeno 8mila persone vivano ancora nelle tende allestite dalle squadre di recupero soltanto nella zona di Barpak. Circa 500mila famiglie, secondo il governo, sono al momento senza una casa; ma diverse ong stimano il numero in “almeno 4 milioni”. Gli sfollati vivono ancora in alloggi temporanei coperti da teloni, sotto ponti o in edifici non sicuri e, dopo un inverno molto rigido, si preparano ad affrontare la prossima stagione dei monsoni, che inizierà a giugno.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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