Da qualche mese a questa parte, leggo “simpaticamente” sui social network, e soprattutto su Facebook, che molti utenti, pensando di tutelare la propria privacy, scrivono sul proprio profilo una sorta di autodichiarazione, CHE NON SERVE ASSOLUTAMENTE A NIENTE, tramite la quale, colui che scrive, nega categoricamente il consenso al trattamento dei propri dati personali. Qualcuno addirittura, diffida l’organo amministrativo di Facebook attualmente in carica, minacciandolo di azioni legali di ogni natura e specie. La cosa che mi fa più sorridere, è che addirittura, tali autodichiarazioni, sono scritte anche da studenti universitari iscritti alle facoltà di giurisprudenza e di economia aziendale…

Ma facciamo qualche passo indietro e partiamo dall’ A B C della privacy (in inglese) e riservatezza o privatezza (in italiano – anche se i termini sono brutti o “suonano” male). In Italia, con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 196 del 30/06/2003 – Codice in Materia di Protezione dei Dati Personali -, la “privacy” è un diritto: non è necessario quindi scrivere nulla, poiché ogni individuo è già tutelato dalle norme che sono riportate appunto sul codice in questione. Per fare un esempio pratico: nel diritto di famiglia, sono compresi gli istituti della separazione e del divorzio. Quando due persone si uniscono in matrimonio, non sono obbligate a sottoscrivere alcun ulteriore patto che stabilisca che in seguito, la coppia possa separarsi e conseguentemente possa anche divorziare. Tali norme infatti, nonché le relative procedure, sono già inserite nel nostro codice civile e nel codice di procedura civile.

Per questi semplici motivi, tentare di tutelarsi ulteriormente, non serve assolutamente a nulla.. Ma torniamo alla privacy… Facendo un altro esempio, proviamo ad applicare il concetto di privacy, ovvero di riservatezza, all’interno di una grande piazza gremita di persone, nella quale ognuno, qualificandosi per nome e cognome (sempre che sia dichiarato il vero), possa esternare la propria opinione in merito ad un argomento d’interesse per la comunità. Ebbene, quella persona, ponendo in essere tale condotta, ha di fatto rinunciato a tutelare la propria privacy su quel determinato argomento trattato. Questo perché, le pubbliche dichiarazioni rese, comprese le proprie generalità (che siano veritiere o no), sono state volontariamente comunicate ai terzi presenti che le hanno ascoltate.

Un social network come Facebook, altro non è che “una finestra sul mondo” tramite la quale tutti, mascherati o a volto scoperto, rendendo di pubblico dominio la propria identità ed i propri pensieri, possono “affacciarsi” e dire la propria. Gli utenti che si affacciano su Facebook, che ricordo è uno strumento di comunicazione concreto e non virtuale, volontariamente: scrivono ciò che vogliono, recitano versi, cantano canzoni, copiano e trascrivono poemi scritti da altri, pubblicano foto e filmati anche non propri, condividono stati d’animo, citano frasi e testi di autori che magari nemmeno conoscono o che mai hanno letto. E quindi, in conclusione, come è possibile proteggere e garantire con assoluta certezza, quelli che l’utente definisce “i propri dati personali”? Solo in un modo: “chiudendo quella finestra”, ovvero cancellando il proprio profilo dal social network! Tra l’altro, Facebook, offre una serie di opzioni tramite le quali il titolare del profilo può a priori decidere cosa far leggere al prossimo e cosa invece oscurare. Invece che chiedere a Facebook di rispettare la vostra privacy, provate a chiedere che vi paghino i diritti d’autore…

A cura del Prof. Pierluigi Vigo – Foto Marco Iorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui