LA CHIESA SULL’ARCA DA SALVARE NEL DILUVIO?

C’e’ un tempo, quello imprevisto e imprevedibile del coronavirus che pare aver fermato il tempo, riconducendolo all’essenziale della vita.
C’e’ un libro, uscito in piena pandemia, scritto per le edizioni Paoline da Franco Ferrari, un laico cattolico, che guarda con favore alla riforma della Chiesa.

Il volume porta il titolo “Francesco il papa della Riforma”, medicina amara, ma benefica che ha incappato in una sfida inattesa come il diluvio che sta scuotendo alcune secolari certezze cattoliche, sbattendo la comunita’ cristiana dentro le nebbie improvvise di un’esistenza a rischio collettivo della vita umana, che richiede adattamenti incredibili.
La piccolissima entita’ di un virus ha messo in crisi biblioteche di teologia e sacrale prudenza, e la comunita’ cattolica si trova ora davanti a un test pari a un gigantesco tampone: abbandonare tutto cio’ che non trasmette piu’ vita, e decidere cosa portare sull’arca da salvare, nel diluvio.
Nelle passate settimane nelle chiese d’Italia le celebrazioni sono state sospese, cio’ ha creato non poco scontento per chi era abituato a questa forma di preghiera quotidiana.

Qualcuno ha accostato la motivazione, “evitare assembramenti”, al perche’ solo in chiesa, e non al supermercato, ma abbiamo visto tanti sacerdoti che si sono organizzati, e che sono entrati nelle case dei loro parrocchiani con la messa celebrata in diretta su Facebook.
Ora che le chiese sono aperte, anche la chiesa e i credenti si trovano a fronteggiare domande mai poste prima.
Sicuramente resta forte il bisogno di comunita’: chi partecipa all’esperienza cristiana sa che non si salva da solo, che la propria vita la vive nella comunita’, con gli altri.
La domanda sorge spontanea.
Cosa vuol dire, oggi, annunciare il Vangelo?
Adeguarsi al modus vivendi o avere il coraggio di andar controcorrente?

Ma come?
Perche’ davanti alla paura del Covid-19 non ci sono stati grandi inviti a fare veglie e ad intensificare le preghiere, anche se papa Francesco ha pregato per gli ammalati, i familiari, le vittime.
Domande e risposte in parte soddisfatte, o rimaste “ sospese”, sta di fatto che l’annuncio della parola di Dio puo’ essere veicolato nei modi piu’ impensabili ed essere accolta da un piu’ vasto uditorio.
Preghiera corale, preghiera personale, nella chiesa gremita, o nel silenzio della propria camera.
L’intimita’ con Dio e’. e rimane la cosa importante per “ascoltare e accogliere la sua voce”.
La ripresa a frequentare le chiese non puo’ soltanto essere contrassegnata dalla volonta’ di eseguire puntualmente ogni dettaglio, essa dovra’ portare con se’ sentimenti e atteggiamenti nuovi che ci aiutino a ritrovare nell’ Eucarestia “ la fonte e il culmine” della vita cristiana.

E’ stata bruscamente interrotta un’abitudine, puo’ rinascere una motivazione piu’ convinta, sostenuta da un grande desiderio.
“Andiamo a Messa” come siamo soliti dire, non per rispondere solamente a un consuetudine, ma perche’ avvertiamo forte e sincero il desiderio di incontrare il Signore, di celebrare il suo Amore.
Insieme ai fratelli che sono parte viva della nostra umanita’.
Chi tornera’ in chiesa lo fara’ mostrando anche gratitudine ai sacerdoti che in questo tempo di pandemia hanno messo in gioco tanta creativita’ pastorale, chi tornera’ in chiesa notera’ anche qualche posto vuoto, lì era solito sedersi un nostro familiare, un nostro amico, che ora la pandemia ci ha portato via.

Il ricordo ci aiutera’ a vivere, nella speranza, la comunione con quanti i nostri occhi no vedono piu’.
Questo sara’ anche il ricordo, che potra’ risvegliare in noi il senso del limite e la percezione che l’esistenza terrena e’ un pellegrinaggio verso l’al di la’.
Se questo sara’ il nostro atteggiamento, potremo dire: nulla e’ come prima!

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Marco Iorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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