Il sistema infrastrutturale italiano verte in una “situazione di degrado generalizzato mostruosa”, a causa, soprattutto, della poca manutenzione, quando invece basterebbero interventi minimi per assicurare lunga vita alle opere e soprattutto sicurezza per le persone. Come accade, ad esempio, in Nord Europa. L’allarme è di Paolo Dellachà, amministratore delegato del Gruppo De Nora, che ha sviluppato negli anni la competenza più forte al mondo nell’ambito della protezione catodica.

Si tratta di componenti metalliche pregiate rivestite di catalizzatori, spesso in platino, che hanno una grande capacità di resistere ad aggressioni, in particolare, ma non solo, a quelle che avvengono a bordo mare, dove le infrastrutture non vi è dubbio siano più soggette a corrosione e deperimento. La protezione catodica, che altro non è che striscioline metalliche posizionate all’esterno o nella colata di cemento armato, creano un reticolo che catalizza tutto ciò che è aggressivo che, quindi, finisce sull’elettrodo e non sull’opera. E’ realizzato in titanio con rivestimenti tipicamente in platino e ha la capacità di resistere e catalizzare l’aggressione con una garanzia da 20 a 100 anni. Poi, quando finisce la vita utile del reticolo di elettrodi all’interno del cemento armato, si fa un retro fit esterno.

“Credo che ci sia – spiega all’AdnKronos – una situazione di degrado generalizzato da non sottovalutare. Quanti cavalcavia sono crollati in Italia negli ultimi anni? Non pochi” fa notare ricordando che un “elenco sconcertante” è circolato solo in occasione della recente tragedia del crollo del ponte Morandi a Genova. Oggi, evidenzia, “chiunque passi sotto un ponte, un cavalcavia, può fotografare il degrado. Sotto un ponte in Germania o in Olanda difficilmente si trova un tondino scoperto”. E allora? “Aspettiamo il morto ogni volta?” si domanda. “Che a Calcutta crolli un ponte, con la miseria infrastrutturale che c’è in India, non stupisce più di tanto. C’è più da stupirsi che l’Italia sia più paragonabile all’India piuttosto che all’Europa.”

Dellachà si dice “certo che non ci sia questa situazione di deperimento negli altri paesi europei” e la certezza gli deriva dal fatto che la società che produce, tra l’altro, protezioni catodiche che scongiurano proprio eventi di sbriciolamento del cemento armato e crolli, opera quasi solo esclusivamente all’estero. E come competitor, in Italia non ne ha, e all’estero pochi o quasi nessuno in grado di offrire la medesima qualità e garanzia nel tempo. “Se guardo a quanti km di protezione catodica abbiamo venduto per il Louvre di Abu Dhabi e i pochi metri venduti in Italia, è sconcertante. Mi auguro che abbiano acquistato da altri concorrenti, ma quello che vediamo ci fa dubitare che qualcuno se ne sia preoccupato”.

Quella della protezione catodica è “arte nota”, per la quale la De Nora è stata chiamata a operare a Rio, sulla statua del Cristo, e a Sidney per l’Opera House, solo per citare alcuni esempi. “Noi siamo sempre chiamati in causa in tutte le grandi infrastrutture. Perché un ponte in Danimarca non si corrode mai? Perché c’è qualcuno che se ne occupa quotidianamente” chiosa Dellachà.

“Il costo non incide e soprattutto non è ripetitivo. Lo affronto all’anno uno e all’anno uno più 50. E il fatto che non sia continuo rende tutto ancora più grave. Soprattutto quando leggi certi bilanci e certi utili. Si sono dovuti attendere 43 morti per pensarci?” domanda l’ad del Gruppo De Nora. Che ci fosse un tema strutturale legato al carico per il Ponte Morandi era cosa nota, tanto che lo stesso ingegner Morandi aveva messo in guardia dai rischi. Ci sarà la magistratura ad accertare le cause, tuttavia si può dire che se il ponte subiva un carico eccessivo e “in più era corroso e si stava sbriciolando la tragedia e lì dietro l’angolo. Ora la magistratura farà il suo corso, ma che qualcuno si senta in obbligo, anche morale, dopo quanto accaduto è una questione di giustizia”.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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