LE MIGRAZIONI FANNO PARTE DELLA STORIA, GLI ULTIMI DEL MONDO POSSONO DAVVERO DIVENTARE LA NUOVA UMANITA’

Certo, lo straniero e’ stato sempre visto con sospetto, basti pensare alle difficolta’ che hanno dovuto affrontare i nostri nonni che sono salpati per l’America.
Oggi, in Italia, questo e’ un tema assai controverso, e ora, in vista del mini vertice sull’immigrazione previsto a Malta il prossimo 23 settembre, tra i ministri dell’interno di alcuni paesi europei, su spinta dell’azione diplomatica tedesca, trapelano disaccordi e posizioni diverse.
La proposta dell’Italia, che riguarda la rotazione dei porti di sbarco ed una ridistribuzione immediata dei migranti, non sembra sia di successo.
Gia’ finito l’entusiasmo e l’ottimismo iniziale dei primi giorni del Conte bis?
La domanda e’: in quali termini vogliamo parlare di immigrazione?
Tra quali discorsi preconfezionati, i media ci inducono a scegliere, nel decidere da che parte stare?
Si tende a proporre il tema dell’immigrazione come un fenomeno nuovo, o giunto al suo apice proprio in questa particolare contingenza storica.
Ma e’ cosi?
Se guardiamo ai fenomeni migratori, numerosi, e ben piu’ massicci della storia, anche recente dell’uomo, la risposta e’ no.
L’Europa stessa e’ un coacervo di gruppi di etnie diverse che si sono mischiate per secoli.
Non si tratta di ragionare in termini di relativismo a buon mercato, ma di porre un problema, serissimo, in maniera meno delirante.
Parlare di “invasione” in termini di razza non ha senso, bisognerebbe invece porsi il tema dell’ ”accoglienza” condivisa, e dell’ ”integrazione” da un punto di vista culturale, vale a dire, considerando, “senza ipocrisia”, le eventuali incompatibilita’ di culture e religioni che potrebbero anche rivelarsi antitetiche.
E poi, questa cosa di trattare un problema come questo come qualcosa che va definitivamente risolto, non e’ forse lo specchio della megalomania di noi occidentali, dei nostri smarrimenti, della nostra bramosia di tenere tutto sotto controllo, nonche’ dell’assoluta mediocrita’ di una gestione politica riguardo a problematiche così complesse?
Siamo tutti disposti a commuoverci di fronte alla foto di un bambino morto sulla spiaggia, ma se in quello stesso momento qualcuno ci dice che di bambini ne muoiono 8.000 in un giorno, allora il dato ci irrita.
Ci si deve commuovere, certo, ma senza esagerare, anche perche’ poi occorre tornare alla propria routine di occidentali senza eccessivi sensi di colpa.
Purtroppo, spesso, la nostra psiche tende a ritrarsi nell’indifferenza quando e’ posta di fronte al troppo grande.
Puo’ essere addirittura comodo essere solidali con problemi che non spostano nulla della nostra vita, e che non hanno alcun effetto di realta’ sull’esistenza quotidiana.
Questa follia per cui cio’ che si dice e’ ormai totalmente scollegato da cio’ che si fa, sta assumendo proporzioni preoccupanti.
La scissione tra il dire e il fare, diviene fatale, spesso, per non affrontare la gestione di un fenomeno come questo, col rischio di portarci nella retorica dell’aiuto a casa loro.
Ma non sarebbe meglio, dico io, aiutare qualcuno, conservando il proprio stile di vita che e’ la causa stessa della poverta’ di quello che si vorrebbe aiutare?
Chi di noi, veramente, e’ disposto a ridurre i propri agi, tant’e’ che il desiderio di non accogliere e’ esattamente il frutto della volonta’ di non dividere con altri cio’ che si possiede.
E mi viene in mente la scena del film “2001: Odissea nello spazio” in cui dei primati si litigano uno specchio di acqua a bastonate.
Forse, e’ bene riflettere, recuperando un po’ di vecchio sano buon senso: le esigenze delle scimmie di Stanley Kubrick non sono, in fondo, cosi’ diverse dalle nostre, e gli effetti urticanti dei guru che parlano di sacralita’ della vita, di valore dell’accettazione, dovrebbero basarsi sui fatti e non solo sulle parole.
Un po’ di sano pragmatismo ci dice che la situazione attuale e’ la seguente: noi occidentali (20% della popolazione mondiale) consumiamo l’80% delle risorse globali.
La popolazione della Terra non e’ mai stata cosi’ numerosa, e l’ONU ci ricorda che, nel 2100, ci saranno circa 11,2 miliardi di persone sulla terra.
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Gli spazi della natura e le risorse si riducono sempre di piu’.
Occorrerebbe investire in cultura e umanita’, oggi le competenze sono sempre piu’ deboli, in tutti i campi ci sono individui, che, in buona o cattiva fede, causano ogni giorno piu’ morti e disastri di quanti ne causassero le grandi guerre, le carestie, e le epidemie.
Il problema dei migranti non e’ un problema a se’, i migranti sono la punta di un “iceberg”, e, su questa strada, molti romanzi di fantascienza, non ci sembreranno piu’ cosi’ “naif”.

Concludo, dicendo che io preferisco concentrarmi sulla spinta positiva che potrebbe venire proprio da expat e migranti.
Sono sempre di piu e, proprio come succede durante le doglie del parto, possono trasformare il loro dolore in qualcosa di buono: la liberta’!
Essere senza radici vuol dire anche non avere barriere, stereotipi, legami politici.
Attenzione, non significa infrangere regole, leggi e tradizioni, ma non avere riverenza per ideologie stantie e paure.
Gli ultimi del mondo possono davvero diventare la nuova umanita’ del futuro, i veri cittadini del mondo, perche’ saranno quelli che considerano l’altro, lo sconosciuto, una ricchezza e non avranno paura di osare e di ripartire!

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Iorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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