Il secondo miracolo economico tedesco, basato sul boom dell’export, rischia di avere un duro colpo in frenata per colpa dei dazi dell’amministrazione americana imposta dal presidente Trump, specie dopo la minaccia di voler introdurre tariffe del 20% sulle auto europee, cioé in particolare sul’made in Germany’, nel caso in cui Bruxelles non alleggerisca le sue ritorsioni al protezionismo americano.

La “festa è finita” titolano i principali giornali tedeschi, tra cui Handelsblatt. “Il secondo miracolo economico tedesco è finito” gli fa eco l’influente settimanale Die Welt, mentre due importanti istituti di ricerca tagliano le loro stime di crescita. Il berlinese DIW abbassa le sue previsioni sulla crescita del Pil tedesco quest’anno di mezzo punto percentuale, portandole all’1,9% e fa altrettanto per il 2019, pronosticando un +1,7%. Ancora più drastico l’istituto Ifo, bavarese, quello che rilascia l’indice Ifo, uno dei barometri dell’economia della Germania, secondo il quale, il Pil nel 2018 scenderà da +2,6% a +1,8%.

Subito dopo le dichiarazioni sui dazi di Trump, non solo quelle contro il comparto europeo dell’auto, ma anche dopo quelle contro la Cina, che hanno provocato le reazioni di Pechino, tutto il settore automobilistico tedesco, che esporta negli Usa, ma anche in Cina, è entrato in fibrillazione, andando pesantemente in rosso in Borsa. La prima che ha iniziato a tagliare le sue stime di crescita è stata la compagnia automobilistica Daimler, che produce le Mercedes e ha immediatamente abbassato il suo outlook per il 2018, citando il calo delle vendite in Cina come fattore trainante.

L’allarme di Daimler ha spinto l’autorevole quotidiano economico Handelsblatt a dichiarare che “la festa è finita” per il settore auto tedesco e i suoi 800.000 addetti. Anche Bmw ha subito fatto sapere che sta monitorando la situazione “più da vicino che mai”. BMW e Daimler sono particolarmente vulnerabili, in quanto dovranno affrontare sia la minaccia delle tariffe statunitensi sulle loro auto e sulla componentistica spedita dall’Europa, sia le imposte al confine cinese sui veicoli che i due gruppi costruiscono nei loro grandi impianti in America. Nel frattempo, anche la potente federazione dell’industria chimica tedesca ha detto il mese scorso che è “meno ottimista” per quest’anno a causa della guerra commerciale incombente.

Tutti questi contraccolpi negativi hanno fatto scattare l’allarme all’Ifo, a Monaco. “Le nuvole si stanno accumulando sull’economia tedesca”, ha detto il capo della macroeconomia Ifo, Timo Wollmershaeuser, ricordando che il motore dell’industria tedesca aveva già cominciato a sussultare e a “scoppiettare all’inizio dell’anno”.

La crescita della Germania è infatti rallentata allo 0,3% tra gennaio e marzo, metà del tasso registrato nel trimestre precedente. Inizialmente, a incidere sono stati alcuni fattori a breve termine, come un’epidemia di influenza invernale, un calendario pieno di festività pubbliche e un’ondata di controversie industriali. Ma i dati economici deboli di aprile hanno poi confermato l’ingolfamento dell’economia tedesca, con due importanti indicatori, quello della produzione industriale e quello degli ordini all’industria, entrambi in calo. “La politica economica americana – spiega Wollmershaeuser – è in parte responsabile del rallentamento”.

In realtà da un punto di vista strettamente finanziario i dazi Usa dovrebbero incidere poco, si stima che dovrebbero procurare un danno di appena 33 milioni di euro su un Pil di 3.300 miliardi di euro. Tuttavia la guerra commerciale con gli Usa si innesta in una congiuntura negativa, come spiega l’economista di Diw, Ferdinand Fichtner, con gli investimenti e l’export, i due punti di forza dell’economia tedesca, che hanno iniziato a mostrare segni di “crescente incertezza”, in particolare nel settore delle macchine utensili, che la Germania esporta in tutto il mondo. Va anche tenuto presente che le attuali stime non tengono ancora conto di un’eventuale aumento dei dazi Usa sul settore auto. Gli esperti valutano che il danno, in questo caso, sarebbe pesante: circa 5 miliardi di euro, pari allo 0,16% del Pil.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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