I moventi più frequenti rilevati nel reato di femminicidio sono la gelosia patologica, il possesso, l’abbandono e la frustrazione.

Leggendo il titolo viene spontaneo nutrire delle speranze positive nei confronti del genere umano, ma in realtà le percentuali possono dipingere una situazione con tinte più rosee di quelle reali.

Parlando in termini assoluti, negli ultimi anni è stata registrata una “progressiva riduzione” dei femminicidi, passati dai 124 del 2011 ai 111 del 2016 (-11%). Tale calo è stato più alto nei primi cinque mesi dell’anno, in cui si sono verificati “solo” 29 casi (-40% rispetto allo stesso periodo del 2016).

A fornire tutti i dati è stato il capo della polizia, Franco Gabrielli, in audizione alla Commissione di inchiesta sul femminicidio. Questi numeri “non devono però farci indulgere a facili ottimismi” ha dichiarato Gabrielli.

Infatti, se da un lato stanno calando gli omicidi in generale, le uccisioni di donne rappresentano ancora la maggioranza degli episodi. “E’ un fenomeno – ha aggiunto ancora il capo della polizia – frutto di una subcultura che reifica la donna disconoscendole il diritto alla libertà e all’autonomia”. Insomma, le donne vengono eliminate non in quanto esseri umani, bensì quanto oggetti, beni di consumo: come tali, possono essere gettati via in qualsiasi momento da colui che ritiene esserne il proprietario.

Chi sono i carnefici? Nel 53% dei casi si tratta proprio del partner, mentre nel 15% è l’ex a compiere l’omicidio. Tra i moventi si registra un calo di quello passionale ed una crescita dei rancori personali.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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