Ci si può innamorare della propria professione? Certo, ma solo pochi riescono a trovare il piacere assoluto in quello che fanno. E’ stato così per la milanese Vanessa Gravina (classe 1974), un’attrice che è stata colpita non dalla freccia di Cupido, ma da quella della recitazione. Un vero e proprio ‘Colpo di Fulmine’ artistico, proprio come il titolo del film diretto da Marco Risi, che l’ha fatta conoscere al grande pubblico nel lontano 1985 (quando la Gravina era ancora giovanissima). L’interpretazione in quella pellicola, in cui l’attrice interpretava la parte di una bambina che si era presa una cotta per un amico di suo padre (amico interpretato da Jerry Calà e suo padre da Ricky Tognazzi), gli era valsa una candidatura al Nastro d’Argento come migliore attrice esordiente. E poi sono arrivati numerosi altri film di successo, fiction importanti ma soprattutto tanto teatro, il luogo preferito dalla nostra brillante attrice.

Ha recitato fin da piccola non è vero? Quindi, ha sempre saputo che era quella la sua strada?

“In realtà da piccola il piacere di recitare nasceva da un istintivo bisogno di imitare gli altri, era per me quasi necessario, irresistibile emulare i gesti, le voci, i comportamenti degli adulti che mi stavano intorno e che avevano qualcosa di stridente da rappresentare. Ad esempio la maestra grassa di francese con gli occhi a palla e la erre moscia, oppure la vicina di casa stramba che parlava da sola, o amici di famiglia con tic nervosi, poi è diventato un mestiere vero e proprio, l’urgenza di raccontare altro al di fuori di me, di vivere le vite di altri”.

Quali scuole o accademie ha frequentato? In questo mestiere non bisogna mai smettere di imparare, vero?

“La mia scuola è stata aver iniziato dall’infanzia, prima col retaggio nel mondo della fotografia e della moda che mi hanno dato il senso dell’obiettivo. Poi è venuta la radio, il cinema e infine il teatro. Non ho frequentato scuole, ad eccezione di un fuori corso al Piccolo di Milano per prepararmi a interpretare Ibsen diretta da Strehler. All’epoca avevo diciassette anni ed era la mia prima esperienza teatrale. La mia scuola è stata l’esperienza e soprattutto i maestri con i quali ho avuto il privilegio di imparare questo mestiere fin dall’adolescenza. Non solo non si finisce mai di imparare, ma è ancor più difficile imparare a vivere”.

Secondo lei, in Italia ci sono più attori o interpreti? Lei si sente più attrice o interprete?

“Io sono entrambe le cose, tuttavia sono più incline all’interprete. Primattrice ma di regia, metto l’ego da parte a servizio dell’autore e del testo con il quale mi cimento. Per me è molto più divertente e stimolante, e alla lunga paga di più”.

In quale ruolo cinematografico e teatrale ha sentito di esprimere veramente tutto il suo potenziale?

‘Io non ho ancora espresso veramente il mio potenziale. Quale interprete può affermare di aver potuto dare il meglio di se stesso? Solo chi si siede o è perduto pensa di aver già dato il meglio. Credo tuttavia di aver dato buone prove di immedesimazione, ad esempio con Risi nel mio primo film, a teatro con Strindberg, Pirandello ed Euripide.’

Se non avesse fatto l’attrice che cosa avrebbe fatto nella vita? Ha mai pensato a un’altra carriera?

“Coi tempi che corrono, ci penso anche oggi a quel che avrei potuto fare. Una vita più serena, un lavoro meno precario e solido, ma alla fine credo mi sarei annoiata a morte. Baratto la sicurezza col brivido dell’incognita, scoprire cosa ti riserva la giornata ogni ora dietro a quella porta. Finché reggo andrò avanti così, poi quando sarò esausta, mi metterò a studiare filosofia seriamente, per dare lezioni private di ripristino psico mistico a chi dispone di denaro!”.

Quali sono i suoi progetti attuali e futuri?

“Il 24 e 25 marzo porterò in scena al Palladium di Roma un cavallo di battaglia che interpreto da anni e che mi da grande energia: il titolo è ‘Enoch Arden’, poema in versi nato dalla penna del più illustre dei poeti vittoriani Lord Alfred Tennyson. Racconto commovente e dolcissimo, con uno schietto sapore di leggenda, è stato pubblicato nel 1864. Richard Strauss ha ripreso l’opera alla fine del secolo per farne un suggestivo melologo per pianoforte (il Melologo è un mix tra il melodramma musicato e il monologo n.d.r). Un melodramma da camera, di forte impatto emotivo nonché espressione del romanticismo europeo fin de siècle. A ottobre, invece, riprenderò lo spettacolo ‘Le Serve di Genet’, con me sul palco Anna Bonaiuto e Manuela Mandracchia”.

A cura di Nicola Luccarelli

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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