Recitare è difficile. Recitare parte da dentro, o senti di essere adatto al mestiere o non lo senti. Non esistono mezze misure in questo mondo. Per molti attori, recitare è un bisogno primario che nasce fin dalla tenera età, per altri invece, si sviluppa con il tempo e può arrivare anche in tarda età. Per il quasi 51enne Emanuele Salce (figlio del grande regista Luciano Salce), è stato così. Si potrebbe pensare che avere avuto un padre regista lo abbia spinto ad entrare nel mondo del cinema e del teatro, ma non è andata proprio in questo modo, almeno in principio.

Chi è Emanuele Salce?
‘Uno che cerca di fare del suo meglio come essere umano. Anche se probabilmente non sempre ci riesce.’

Dove inizia l’attore e finisce l’uomo e viceversa?
‘Dell’attore credo d’aver poco, forse anche perché ho cominciato alla soglia dei 40 anni. Inizia quando comincia lo spettacolo e finisce quando si chiude il sipario. In tutti gli altri momenti si cerca di ‘interpretare’ se stessi nella maniera più onesta possibile. Vivo questa professione come un lavoro ed un’opportunità di crescere, misurandomi con gli altri e con me stesso.’

Suo padre è stato un grande regista. Quando si cresce a pane e cinema è difficile staccarsi da quel mondo e non caderci dentro?
‘Guardi, io ho vissuto con mio padre fino ai due anni di età, poi i miei si sono separati e mia madre s’è sposata con un altro, che però faceva anche lui l’attore. Forse era più mia madre che subiva il fascino del cinema, o perlomeno di alcuni suoi interpreti. E’ una professione affascinante vista da fuori, ma da dentro hai tutt’altra prospettiva.’

Ha sempre voluto intraprendere questa carriera? Dove si è formato a livello artistico? Le accademie continuano a essere importanti per gli attori, secondo lei?
‘No, io sono scappato subito dal ‘seguire le orme paterne’. Ho fatto altri studi e lavori, poi ho fatto anche il corso di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, ma senza realmente credere di doverlo fare e infatti nei vent’anni successivi mi sono occupato di tutt’altro, o almeno ci ho provato. Le accademie sono importanti, specie quelle che hanno docenti validi, e ce ne sono, così come sono spesso nocive o illusorie molte altre ‘scuolette ‘di sedicenti insegnanti. La formazione, lo studio, il lavoro su di sé è sempre importante, poi bisogna anche proseguire da soli e completarsi con l’esperienza sul campo.’

Si sente più vicino al cinema o a teatro?
‘Senza dubbio il teatro, forse perché lo vivo più spesso. La possibilità di avere un contatto diretto col pubblico, di instaurare un rapporto con persone ‘vive’ a pochi metri da te, fanno di una rappresentazione teatrale un qualcosa di unico e irripetibile, ogni sera.’
 
E’ stato difficile per lei portare il cognome di suo padre?
‘E’ stato prima un divertimento, da bambino. Poi un peso da ragazzo, quando ero alla ricerca della mia identità. Ed oggi un piacere e un privilegio.’
 
Secondo lei, al giorno d oggi, gli attori hanno lo stesso rispetto per questo mestiere di quelli di un tempo?
‘No, ma oggi è cambiato il mondo, che cambia sempre e comunque, ed anche questa professione risente di un certo degrado e di una dilagante faciloneria. Anche se per fortuna ci sono sempre delle eccezioni qua e là.’

In questo momento sta lavorando a qualcosa?
‘Sì, a una commedia francese ‘La cena delle belve’, insieme ad un cast di attori bravissimi, poi sarò impegnato a gennaio con un Pirandello, e successivamente con il mio monologo ‘Mumble Mumble’ fino a fine stagione.’

Secondo la sua esperienza, qual è la caratteristica più importante che l’attore deve possedere per essere definito tale?
‘Un attore deve emozionare, deve dire la verità e farla arrivare al pubblico. Se non accade questo, ci sono ancora molti posti nei call center che aspettano delle belle voci con buona dizione…’

A cura di Nicola Luccarelli

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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