La musica è fatta di suoni e di parole. Come nasce la musica? Come nasce un cantante? Forse, sarebbe più intrigante chiedersi come viene alla luce un rapper. Il panorama musicale italiano è intriso di giovani talenti che cantano il rap, quella rima che racconta la realtà di tutti i giorni. Negli ultimi anni sono stati in molti a calcare grandi palcoscenici. L’ultimo, ma solo in ordine di tempo, è Ciarz. In realtà, il suo vero nome è Moussavou Ngoma Jean Francois (classe 1988), nato a Palestrina (Roma), da madre capoverdiana e padre gabonese. Proviamo a conoscere meglio Ciarz e a chiedergli qualcosa anche sul suo album “Affunk”.

Quando nasce Ciarz?

“Lo pseudonimo ‘Ciarz’ nasce due anni fa, ma in realtà ci penso da circa 14 anni. Da quando ha incominciato a crescere in me il desiderio di trascrivere in rima tutto ciò che avevo nella testa. Ascoltavo Fibra, Eminem, R.Kelly e allora come adesso fingevo che la loro voce fosse la mia. Dicevano quello che io non avevo il coraggio di dire ma che sentivo rimbalzare tutti i giorni dentro la mia testa, in uno spazio recondito e libero da ogni blocco psico-sociale ed emotivo”.

Perché hai scelto proprio questo nome, Ciarz?

“Ciarz è la trascrizione letterale di Charles, il nome di mio padre, che ho perso 10 anni fa. Volevo abbandonare il vecchio nome ‘Frank D.’ che non mi trasmetteva un significato personale e profondo e conseguentemente non mi rappresentava più. Quindi ho iniziato a pensare a vari nomi che facessero riferimento a mio padre, finché Rita, una mia cara amica, mi ha ribattezzato consigliando questo nome: semplice, diretto, breve, facile da ricordare, unico al mondo”.

La musica ha sempre fatto parte della tua vita?

“Penso che la musica faccia parte della vita di tutti, sempre, volenti o nolenti. Viviamo in un mondo che ne è intriso e anche in una stanza vuota, mentre pensiamo ad altro, c’è sempre una parte della nostra mente che sta canticchiando una canzone. Basta fermarsi ed ascoltarsi per capire qual è la canzone in rotazione in quel momento. Io sono cresciuto praticamente in chiesa, tutti i pomeriggi all’oratorio. Forse i primi canti che ho imparato sono proprio quelli ecclesiastici. Sempre in chiesa mi hanno insegnato i rudimenti della chitarra per poter suonare durante la messa. Eravamo molti, chitarristi e coro con aggiunte sporadiche di altri strumenti. Rifacevamo canzoni famose mettendoci sopra le parole della Bibbia, quasi fossero dei Mixtape religiosi”.

Parlami del tuo album “Affunk”…

“Affunk nasce da una collaborazione tra me e il produttore romano di elettronica Intiman (Inti d’Ayala Valva n.d.r). Inizialmente concepito come un EP da 5 pezzi, dopo aver decantato nell’Hard disk per alcuni mesi, lo abbiamo ripreso aggiungendo altre 5 tracce prodotte da lui e 2 prodotte da me. Poi si è inaspettatamente affacciata la label discografica community based Bandbackers, la quale mi ha chiesto se ero interessato a fare un Crowdfunding a supporto dell’album, per poi andare a stamparlo e divulgarlo. Così siamo arrivati a questo punto: 12 tracce, ognuna delle quali accarezza un genere differente, un album senza un reale motivo di esistere ma che comunque esiste e che considero fondamentale per la mia crescita artistica e non”.

Cosa significa il titolo “Affunk”?

“Affunk è un gioco di parole tra il mandare a quel paese una persona e il genere musicale Funk. Più profondamente il titolo rappresenta il mio desiderio di staccarmi dal passato e dai doveri sociali che il mondo mi e ci impone giornalmente”.

Quanto lavoro c’è dietro a una canzone, un album?

“Molto più di quello che pensavo. Si sente spesso parlare in interviste di grandi artisti e di come alcune loro canzoni siano nate e cresciute in tempi brevissimi. A me ancora non è successo. Tra la scrittura del pezzo, bozza della base, vari rimbalzi tra me e Intiman per svilupparla, arrangiamento, correzioni, registrazione di voce e strumenti analogici, revisione, mixaggio, master, strategia sviluppata con l’etichetta discografica, ufficio stampa, live, video, tanti soldi e impegno investiti passa molto tempo. In questo caso due anni. Ma a me piace, quindi fa parte del divertimento”.

C’è qualcosa che avresti voluto fare in modo diverso nella tua vita?

“Spesso penso ai tanti errori commessi nella vita. Potevo iniziare questa cosa anni fa, potevo dedicargli più tempo invece di andare all’università, invece di fare lavori che non mi piacevano. Ma a conti fatti so che sono proprio tutti questi errori ad avermi portato qui. Stampare un disco a distribuzione digitale nazionale, con il supporto di professionisti del settore, finire in radio e sulle riviste a fare interviste come questa e dare al mondo qualcosa che prima che lo creassi te non esisteva non è cosa da tutti i giorni. Vedremo dove mi porteranno i prossimi errori”.

A quale genere musicale ti senti di appartenere?

“Non lo so, spero che un giorno me lo dica qualcuno. Credo di essere un rapper tanto quanto lo sia uno come Caparezza, senza il suo genio purtroppo. Chi considera Caparezza un rapper ‘particolare’, ‘differenziato’ probabilmente mi vede allo stesso modo. C’è chi lo vede pop e chi rock. La verità e che a me, e credo anche a lui, non interessa l’etichetta, il titolo, la classificazione. Non mi interessa essere classificato sul genere di classifica giusto. ‘Mi interessa essere, capito’ [cit. Capa], e vivere della mia musica”.

Parlami dei tuoi prossimi impegni…

“In questi giorni stiamo programmando le date per un piccolo tour invernale/primaverile con la band e probabilmente partirà da febbraio con una presentazione dell’album a Roma, ma è tutto in fase di costruzione. Per rimanere aggiornati basta andare sul sito ciarz.it ed iscriversi ricevendo immediatamente l’album. Oppure seguirmi su Facebook dove sistematicamente do notizie sui nostri movimenti e attività: https://www. facebook.com/OfficialFrankd/”.

A cura di Nicola Luccarelli

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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