Il World Economic Forum (WEF) e la fondazione Ellen MacArthur, ha presentato un rapporto a dir poco allarmante: entro il 2050 gli oceani arriveranno a contenere più plastica che pesci in termini di peso, con enormi rischi per l’ecosistema mondiale.

Inoltre, secondo uno studio portato avanti dall’Imperial College di Londra, entro quella data il 99% degli uccelli marini potrebbe avere dentro di sé residui di plastica.

Il problema è davvero enorme: nel 1960, solo il 5% degli animali aveva rifiuti nello stomaco, mentre nel 2010 la percentuale era salita fino all’80%: entro il 2050, solo l’1% di essi potrebbe non aver ingerito plastica sotto forma di tappi, sacchetti e rifiuti gettati in mare.

Urge ripulire gli oceani e secondo il parere degli esperti si deve iniziare dalle coste e non dalle “isole” di immondizia come la “Great Pacific garbage patch”, l’enorme area di spazzatura che galleggia nel Pacifico, una delle cinque maggiori al mondo. I ricercatori britannici hanno individuato quali siano le aree migliori per dispiegare i “collettori” per le microplastiche, simili a quelli concepiti dal progetto “Ocean Cleanup”: barriere galleggianti che convogliano la plastica e la rimuovono.

In 10 anni, se queste barriere fossero poste lungo le coste di isole cinesi e indonesiane, rimuoverebbero il 31% delle microplastiche che stanno soffocando l’oceano. I collettori solo a ridosso dell’isola di spazzatura rimuoverebbero invece soltanto il 17% di plastica. Peter Sherman, dell’Imperial College di Londra, ha spiegato che “la maggior quantità di plastica si trova lungo le coste, dove entra nell’oceano”. Ecco perché, aggiunge il dottor Erik van Sebille, ha più senso rimuovere le plastiche “lungo coste densamente popolate e sfruttate economicamente”, prima “che abbiano la possibilità di danneggiare” gli ecosistemi.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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